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Lavoro, le parole da dire con il capo per fare carriera (e quelle che la distruggono)

Daniela Mastromattei
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Gran lavoratori, sicuri di sé, apprezzati e ammirati dagli altri e appagati dalla propria vita. Ma a volte basta un attimo per far crollare tutto e perdere la credibilità conquistata in anni di duro lavoro. A quel punto non contano più il talento e le esclusive competenze professionali. Perché le parole - che mai avreste dovuto pronunciare - arrivano come un maremoto spazzando via tutto, ore di straordinario, turni di notte e reperibilità 24 ore su 24, facendovi apparire immediatamente sotto un'altra luce (la peggiore). Le parole sono pietre, sosteneva Carlo Levi, mentre Emily Dickinson scriveva: «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola». E non si tratta di lapsus infelici o battute politicamente scorrette. Madi frasi in grado di stroncare carriere ben avviate. Frasi tossiche che andrebbero cancellate dal vostro repertorio. Quali saranno mai, vi chiederete. Partiamo subito dalle più pericolose: «Questo non fa parte del mio lavoro», oppure «mi chiedi qualcosa che non è di mia competenza». Apriti cielo. Sono due espressioni molto antipatiche che se uscissero dalla vostra bocca vi dipingerebbero subito come persona inflessibile e non collaborativa di fronte al boss e ai colleghi. «Se vi si chiede di fare qualcosa che trovate inappropriato per la vostra posizione (che non significa inappropriata a livello morale o etico), la mossa vincente è portare al termine quel compito con entusiasmo. Più tardi, fisserete un incontro con il capo per discutere del vostro ruolo nell'azienda e della possibilità di aggiornare la descrizione del vostro impiego. Così facendo mostrerete apertura. Inoltre, questo vi permetterà di sviluppare una comprensione a lungo termine dei compiti che dovreste, e non dovreste, svolgere», come suggerisce The Huffington Post in un articolo sul tema. E mai dire: «Non è colpa mia». Oltre a non essere particolarmente elegante, appare come un maldestro tentativo di voler scaricare le colpe sugli altri. Dimenticatevi i nomi dei veri responsabili, che non tirerete fuori nemmeno sotto tortura. E se per caso avete avuto un ruolo, seppur piccolo, in qualcosa che è andato storto, ammettetelo, abbiate il coraggio di assumervi le vostre responsabilità. In caso contrario, date una spiegazione oggettiva. Lasciate che siano gli altri a giungere a delle conclusioni. Puntare il dito vi farebbe passare per lo spione di turno (pessima figura). E i colleghi, da quel momento, vi eviteranno come la peste.

GLI SPROVVEDUTI - Lo so,è faticoso sopportare le ingiustizie, voi che siete così corretti e rispettosi verso il prossimo non ve le meritate. E invece eccole presenti ogni giorno servite su un piatto d'argento (si fa per dire). Ma, per carità, non lasciatevi andare ad alta voce a esternazioni del tipo «non è giusto», «così non si fa», vi mostrereste solo immaturi e sprovveduti. Credete forse di essere circondati da tante brave persone dall'onestà intellettuale che sprizza da ogni poro? Non è così, fatevene una ragione. Se volete davvero fare carriera, dovete farvi furbi, mostrarvi propositivi, invece che ipercritici. A volte persino le critiche costruttive risultano fastidiose. Di fronte allo "sgarbo" meglio domandare, per esempio: «Ho notato che hai assegnato a Pinco quel progetto che speravo di ottenere io. Ti dispiacerebbe spiegarmi cosa ti ha portato a questa scelta? Se hai pensato che io non fossi adatto, potrò impegnarmi a migliorare quelle competenze», usando sempre l'arma segreta della gentilezza. Parafrasando il titolo di un libro, le brave ragazze vanno in Paradiso, le cattive dappertutto. Ed eccoci al «non posso». Ai capi non piace sentirselo dire, perché lascia intendere una mancanza di disponibilità nel portare a termine un lavoro. Se davvero non potete farlo perché non sapete da che parte cominciare, provate a proporre una soluzione alternativa. Le nuove idee (anche le più strampalate) piacciono sempre tanto ai manager. Anziché dire cosa non potete fare, dite cosa vorreste fare. Invece di «non posso restare fino a tardi stasera», meglio rilanciare un «posso arrivare presto domattina». Un'altra espressione da cancellare è «ci proverò», fa pensare che non abbiate fiducia nelle vostre capacità. Le parole sono finestre (oppure muri), direbbe lo psicologo statunitense Marshall Rosenberg. «Odio questo lavoro»: chissà quante volte avreste voluto dirlo, o urlarlo. E invece non dovete neanche sussurrarlo. Sarebbe bene evitare di ripeterlo a mente come un mantra, perché pensare positivo aiuta a superare meglio le difficoltà. Nell'ambiente di lavoro le persone che si lamentano non sono ben viste. È un atteggiamento che incolla addosso l'etichetta di persona negativa che butta giù l'umore del gruppo.


GLI INCOMPETENTI - Lasciate fuori dall'ufficio i pettegolezzi. Non sprecate energie inutilmente nel dare dell'incompetente e idiota al vicino di scrivania. Anche se lo fosse che vi importa. Se non avete il potere di migliorarlo, né di licenziarlo, perdete solo tempo prezioso da dedicare ad altre attività assai più interessanti. Se la vostra osservazione risponde a verità, già ne sono tutti al corrente. In qualunque luogo di lavoro ci saranno sempre persone maleducate, arroganti o incompetenti, che avrebbero dovuto fare un altro mestiere e invece sono lì a rallentare tutto. Peggio è quando gli incompetenti sono nella stanza dei bottoni.

LA PSICOLOGA - «Nella vita lavorativa si ha l'idea che un buon collaboratore sia una risorsa e, quindi, una persona capace di risolvere tutti i problemi. L'indecisione, la titubanza, la poca disponibilità sono un grande nemico dell'immagine che possiamo dare. L'atteggiamento proattivo e collaborativo è visto di buon occhio dal capo, ma anche dai colleghi, mentre un collaboratore svogliato, pettegolo e procrastinatore è difficile che possa essere apprezzato», conferma la psicoterapeuta Miolì Chiung a Libero. «Premesso questo, è lecito che si possano porre dei paletti senza il timore di essere giudicati. Il lavoro è un aspetto importante della nostra vita, ma non dobbiamo dimenticare che non può essere l'unico. Le eccessive richieste fuori orario, aldilà della nostra mansione o delle nostre competenze non dovrebbero essere una routine. Per paura che il capo possa storcere il naso, potremmo finire per essere degli yes-man. Anche questo aspetto non giova alla nostra immagine perché perderemmo comunque il rispetto del nostro lavoro e della nostra persona». Il poeta Arturo Graf direbbe: «Certo, le parole non sono azioni; ma qualche volta una buona parola vale quanto una buona azione».

 

 

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