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Mario Draghi, il "vaffa" alla Cina: retroscena, così il premier cancella Giuseppe Conte e M5s. Presto fuori dal governo?

Fausto Carioti
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Impossibile dimenticare il Luigi Di Maio del 24 marzo 2020, in piena pandemia: «Ringraziamo la Cina per il sostegno che ci ha dato». Quindici mesi dopo, l'anomalia è che il ministro degli Esteri sia ancora lui, visto che la politica estera dell'Italia nei confronti della potenza asiatica si è ribaltata. Da ieri, ufficialmente. Nel documento finale del vertice G7 svoltosi in Cornovaglia, Mario Draghi e gli altri leader del gruppo dei grandi hanno sottoscritto una serie di impegni chiesti da Joe Biden. Tra questi spicca la richiesta di uno studio «tempestivo, trasparente, condotto da esperti, sulle origini del Covid-19, che includa la Cina». Significa l'apertura degli armadi cinesi agli ispettori internazionali, che Pechino non ha alcuna intenzione di concedere. Altro che ringraziamento. «Non abbiamo avuto accesso ai laboratori», ha ricordato Biden, e dunque non si sa se all'origine di tutto ci sia «un esperimento andato storto», o qualcosa di peggio. Il Dragone è nominato altre tre volte.

 

 

Una riguarda i commerci: «Per quanto riguarda la Cina, continueremo a consultarci su approcci collettivi per contrastare politiche e pratiche non di mercato che minano il funzionamento equo e trasparente dell'economia globale». Azione concordata contro la concorrenza sleale cinese, dunque. In un altro passaggio i sette invitano la Cina «a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, in particolare in relazione allo Xinjiang», la regione dove risiede la minoranza etnica degli uiguri, nonché a garantire «tali diritti, libertà e un alto grado di autonomia per Hong Kong». Infine, viene chiesta «la risoluzione pacifica» delle questioni nello stretto di Taiwan: «Ci opponiamo fermamente a qualsiasi tentativo unilaterale di modificare lo status quo e accrescere le tensioni». Il laboratorio di Wuhan, la concorrenza sleale, i diritti umani, Hong Kong e Taiwan: non c'è nervo scoperto del regime di Pechino che sia stato risparmiato. Ed è la prima volta che in un documento del G7 la Cina viene strapazzata in questo modo. Biden porta così a casa tutto ciò che voleva.

 

 

Per lui, spiega una fonte diplomatica, «oggi la Cina è ciò che era l'Urss ai tempi della guerra fredda». Nel grande gioco delle parti, Draghi è stato la sponda perfetta del presidente statunitense. A cose fatte, il premier italiano ha assicurato che esaminerà «con attenzione» il memorandum con cui l'Italia ha aderito alla «Via della Seta», il programma di espansione commerciale e politica della Cina. Lo aveva firmato Di Maio nel marzo del 2019, presentandolo come «una grandissima opportunità per tutti noi». Entusiasmo che Draghi non pare condividere. Per l'Italia è la fine ufficiale di un periodo in cui i rapporti con Pechino sono stati decisi dagli interessi che legano i vertici dei Cinque Stelle al regime di Xi Jinping. Si capisce meglio, ora, la tempistica con cui l'ambasciatore cinese a Roma, tre giorni fa, aveva convocato Beppe Grillo e Giuseppe Conte, e il problema politico che ha convinto l'avvocato pugliese a inventare una scusa per non presentarsi. E si conferma che Grillo rappresenta un problema per Draghi. Di Maio, pur di restare lì, si accontenta di fare il ministro degli Esteri per finta, ma il padre -padrone del primo partito della maggioranza fa il rappresentante della Cina sul serio.

 

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