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Silvio Berlusconi, l'uomo chiave per la rivoluzione in Europa: retroscena, l'ultima mossa di Salvini

Fausto Carioti
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Ancora tu. Ma non dovevamo vederci più? E invece Silvio Berlusconi è sempre lì, al crocevia di ogni cammino del centrodestra. A capo di un partito che la media dei sondaggi colloca al 7,2%, da tempo ai margini del teatrino della politica, tra ricoveri e grane giudiziarie. Eppure, da lui bisogna passare. Lo confermano gli ultimi arrivati, i presunti alfieri del nuovo. A partire da Enrico Michetti, il "civico" candidato sindaco della capitale che piace a Giorgia Meloni.

L'autoproclamatosi «tribuno» del popolo romano (qualcuno gli rammenti che Tiberio Sempronio Gracco e Publio Clodio Pulcro, con quel titolo, finirono ammazzati), ha dato l'annuncio ieri: «Ho parlato con Silvio Berlusconi, mi ha assicurato che non appena sarà possibile scenderà a Roma a fare campagna elettorale per noi». Idem Catello Maresca, magistrato antimafia e candidato sindaco a Napoli, in attesa dell'investitura ufficiale del centrodestra, che spera di ottenere in settimana: «Il presidente Berlusconi mi ha chiamato qualche volta. È un grande imprenditore e credo che il Paese abbia ancora bisogno di una persona come lui in prima linea».

 

 

 

Casomai qualcuno avesse dubbi sull'importanza della benedizione del pontefice di Arcore, necessaria per sbloccare l'ennesima candidatura impantanata. È questione di sostanza, non di etichetta. Lo ha capito pure Matteo Salvini. Berlusconi è la porta d'accesso non solo agli elettori che possono essere decisivi alle amministrative e alle politiche («senza Forza Italia il centrodestra non vince né governa», ipse dixit), ma pure al Partito popolare europeo, la famiglia politica più importante del continente, in possesso del gruppo più numeroso nel parlamento di Strasburgo.

E non è un mistero che il Ppe abbia un rapporto speciale con Mario Draghi, oggi presidente del consiglio italiano e tra qualche tempo chissà: probabilmente al Quirinale, forse alla presidenza del consiglio europeo, difficilmente a villa Borghese col suo bracco ungherese al guinzaglio. La porta funziona pure nell'altro senso. Berlusconi è l'ambasciatore plenipotenziario che al Ppe serve per dialogare con il governo e il parlamento italiano, anche in vista della possibile federazione tra Forza Italia e la Lega, il cui punto di caduta sarebbe proprio l'entrata delle ex camicie verdi nei Popolari europei. Operazione complessa, ma in prospettiva conveniente pure per il Ppe, che in questo modo riavrebbe in squadra un partito italiano capace di farsi votare dal 25-30% degli elettori. Si spiega anche così la decisione di far riunire l'ufficio di presidenza del Partito popolare a Roma, nella settimana del 22 settembre, poco prima del voto delle amministrative.

 

 

 

Un tributo al Cavaliere, oltre che una bella vetrina elettorale. Assieme ai vertici del Ppe e a Ursula von der Leyen, parteciperanno Mario Draghi e ovviamente lo stesso Berlusconi. Chiaro il messaggio: loro due sono i riferimenti italiani del centrodestra europeo che conta. È la politica italiana che inizia a ridisegnarsi sui nuovi parametri. Da una parte e dall'altra stanno prendendo atto che, pur essendo il governo Draghi qualcosa di eccezionale, lascerà un quadro politico diverso da quello che aveva trovato. Più a destra che a sinistra, probabilmente.

 

 

 

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