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Pietro Senaldi contro Enrico Letta: la brutta copia estremista di Zingaretti, perché il leader Pd è la fortuna del centrodestra

Pietro Senaldi
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L'azione del premier Draghi, quasi per inerzia e senza alcuna volontà del manovratore, sta spingendo la componente giallorossa della maggioranza di governo ai margini. Non è solo una questione di incidenza politica, è il vento del Paese che inizia a soffiare diversamente. Il centrodestra è da anni ormai maggioranza in Italia, ma dalla destituzione di Berlusconi non è mai riuscito a pesare nel Palazzo. Perché non ha classe dirigente adeguata, spiegano da sinistra, per giustificare come mai finiscono sempre loro a governare malgrado sempre meno cittadini li votino. Anche su questo però qualcosa sta cambiando e la cartina di tornasole sono i due temi all'ordine del giorno in questa estate rovente: la legge Zan sull'omofobia e la riforma della giustizia che l'Europa ci impone e che proprio oggi la ministra della Giustizia dovrebbe presentare in Consiglio dei ministri. Le posizioni del centrodestra in materia sono note: si vuole modificare la norma anti-omofobia in modo che non rischi di pregiudicare la libertà d'espressione e si vogliono introdurre dei correttivi all'esercizio arbitrario che i giudici fanno del loro potere, che era stato viceversa esaltato dal Guardasigilli grillino Bonafede, arrivato addirittura a eliminare la prescrizione. Massima rappresentazione della messa in critica del sistema delle Procure sono i referendum presentati da Lega e Radicali sulla responsabilità delle toghe e la separazione delle carriere. Su questi due campi di battaglia Salvini e alleati hanno trovato come compagni d'armi solo in apparenza sorprendenti i renziani. Il capogruppo del Carroccio in Senato, Molinari, giusto ieri ha dichiarato di lavorare meglio con Italia Viva che con i grillini. E già tra gli osservatori c'è chi parla di Lega Viva, alludendo all'asse tra i due Mattei, che potrebbe portare a eleggere per la prima volta un presidente della Repubblica non scelto dal Pd.

 

 

VOCI AUTOREVOLI
La novità però è che l'intesa non si ferma ai giochi di palazzo. C'è dietro un pezzo della cosiddetta società civile della quale solitamente si mena vanto la sinistra. Contro la legge Zan si sono espressi omosessuali dichiarati come la Concia o Platinette, ma anche le femministe, il Vaticano, e conseguentemente intellettuali cattolici del calibro della Scaraffia, giuristi della caratura di Flick e Fiandaca, filosofi e sociologi come Zecchi e Ricolfi. Altrettanto imponente è la pressione esercitata anche da non politici sui referendum anti-toghe. Li sostiene un fronte trasversale che include Mieli e Nordio, Minoli e Crosetto, Tortora e Del Debbio, Parenzo e Bongiorno. Una schiera di testimonial che ha fatto sì che nel solo primo weekend di raccolta firme si siano registrate oltre centomila sottoscrizioni, che sono una legittimazione popolare e un impulso importante al lavoro che il Guardasigilli Cartabia sta facendo per curare il malfunzionamento della giustizia. Come si tradurrà tutto questo in Parlamento è un rebus che si dipanerà nelle prossime settimane. Qualcosa però già si può anticipare. Innanzitutto la riforma Cartabia prevede un contingentamento dei tempi del processo che di fatto rappresenta una reintroduzione della prescrizione con termini ben più cogenti di quelli eliminati dai grillini. Altro tema dovrebbe essere, per smaltire l'arretrato dei tribunali, la riduzione delle possibilità di fare appello da parte delle Procure alle sentenze d'assoluzione. Infine, è allo studio anche la facoltà del Parlamento di indicare alla magistratura inquirente quali sono le priorità tra i reati da perseguire: una mossa che di fatto conferirebbe alla politica il potere d'indirizzo sulle Procure. E poi c'è il capitolo Zan, che rischia di essere una Waterloo per il Pd. Il segretario Letta ne ha fatto una battaglia di principio e si propone di andare alla conta in Parlamento la prossima settimana. I numeri però non li ha e i dem stanno perdendo la testa, come dimostra quel "fr***e" con il quale una dirigente del partito ieri ha apostrofato il parlamentare omosessuale Scalfarotto, reo di non gradire il progetto di legge. L'ipotesi più probabile allo stato è che una manina pietosa faccia scivolare la pratica un po' più in là, magari anche dopo l'estate.

 

 

DISCONTINUITÀ
Per non ammettere a loro stessi e agli elettori che hanno perso il bandolo della matassa, i giallorossi si raccontano che tanto siamo sotto un governo tecnico, che come un ombrello copre i partiti, privandoli di forza d'azione. La realtà però è un'altra: in quanto retti dal Parlamento, tutti gli esecutivi tecnici, e quindi pure questo, finiscono per essere anche politici e il loro indirizzo non dipende da chi li tira per la giacca o ci mette l'etichetta ma da quello che fanno. È un dato di fatto che Draghi ha segnato una discontinuità prepotente con il governo giallorosso, e non solo in termini di vaccinazione. Il Pd ha scelto Letta, uomo moderato, di relazioni e super europeista per dialogare con l'ex governatore della Bce, ma Enrico anziché rasserenarsi per aver avuto la sua rivincita dopo sette anni di esilio, si è agitato, trasformandosi nella brutta copia estremista di Zingaretti. Ha tirato fuori un'insospettata anima gruppettara, modaiola e militante, da centro sociale metropolitano più che da salotto finanziario. M5S doveva consegnarsi all'azzimato Conte, un bicchiere da riempire buono per tutti i contenuti, che però ha il difetto di non poter soffrire il premier per ragioni personali ma inopportune date le contingenze. Ecco che con la sinistra incartata e arroccata su posizioni impopolari, il quadro politico in cinque mesi è cambiato come non mutava dai tempi dell'irrompere di Berlusconi sulla scena politica, nel 1994. E ora tutto è possibile, come allora; anzi, di più. 

 

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