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Sergio Mattarella, il Pd punta al Quirinale. "La fame di poltrone" di Letta e compagni

Elisa Calessi
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Sarebbe buona educazione non parlarne, ma alla fine, vuoi o non vuoi, si ritorna sempre lì, al grande Risiko quirinalizio. La partita vera comincerà a gennaio, ripetono tutti. Prima sono sono solo calci a bordo campo. Ma calci veri. Si è visto negli ultimi due giorni. A ricominciare il tormentone è stato Enrico Letta, dal Meeting di Rimini, chiarendo, con toni solenni, che «io mi impegno e impegno il mio partito a chiedere a Draghi di essere il nostro primo ministro almeno fino alla scadenza naturale della legislatura nell'aprile 2023». Dove la notizia sta in quell'avverbio, "almeno". Nel senso che la speranza del Pd, se ne deduce, è che Draghi rimanga ben oltre il 2023, magari come candidato di una coalizione della "ricostruzione", che si impegni a realizzare la seconda fase del Pnrr. Uno scenario, quello di un Draghi premier anche nella prossima legislatura (ma perché accade deve essere tolto dalla corsa del Quirinale), che si sta facendo largo in una parte dei dem. Risolverebbe almeno 3 problemi. Il primo, sentito dai riformisti dem, è che l'ex «riferimento dei progressisti» (Conte), ora capo del M5S, possa tornare in campo come leader dell'asse Pd-Cinquestelle. Il secondo è la probabile vittoria alle prossime elezioni politiche del centrodestra: se i progressisti, tutti insieme, dicessero che in caso di vittoria chiederanno a Draghi di tornare Palazzo Chi, l'onda si potrebbe, forse, fermare. Infine c'è una terza ragione. Quella che, ruvidamente, ha spiattellato, ieri, Salvini. È una mossa, ha detto il leader del Carroccio, fatta solo «per togliere un competitor per il Quirinale perché il Pd ha fame di Quirinale».

 

Ma è «di pessimo gusto decidere cosa farà il signor Mario Draghi e sicuramente non è il piccolo Enrico Letta a decidere cosa farà il grande Mario Draghi, che deciderà in autonomia». Detta più chiaramente: «Io traduco il diktat del Pd "Draghi deve restare fino al 2023" come "Al Quirinale voglio uno del Pd". Anche no, basta». Se Draghi deve restare al governo, è evidente che per il Colle bisogna cercare altrove. E gli aspiranti, nel Pd, non mancano. Un altro messaggio, ieri, è arrivato dal ministro Giancarlo Giorgetti, l'anima moderata del Carroccio: «Mario Draghi per fare il presidente del Consiglio ha bisogno di una maggioranza parlamentare». Tradotto: non basta l'impegno del Partito Democratico perché Draghi rimanga a Palazzo Chigi oltre il 2023 e resti fuori dalla corsa al Quirinale. Senza la Lega è difficile. E poi, «da qui ad allora», quando il Parlamento sarà chiamato a eleggere il Capo dello Stato, «succederanno tante altre cose», ha aggiunto il ministro: «Ci saranno le elezioni amministrative, poi «l'elezione del Presidente della Repubblica e tante altre situazioni». Come dire: i risultati delle Amministrative saranno un test per capire le forze in campo. Poi si vedrà. Non è un mistero che per la Lega (ma anche per Fi e FdI) Draghi al Quirinale potrebbe essere la mossa per dare scacco al Re. Non solo per 7 anni garantirebbe l'Europa, i mercati, i tanti poteri ancora scettici nei confronti di Lega e Fdi, consentendo alla destra di varcare Palazzo Chigi senza anatemi. Ma un Draghi presidente della Repubblica lo toglierebbe dalla contesa del governo. Una cosa, comunque, è certa ed è il senso dell'offensiva di Salvini: senza la Lega, senza il centrodestra, non si decide chi va al Colle.

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