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Covid, l'affondo di Luca Ricolfi: "Ecco perché sulla pandemia nessuno dice la verità"

Luca Ricolfi
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Pubblichiamo stralci di un intervento di Luca Ricolfi sull'informazione ai tempi della pandemia apparso sul sito internet della Fondazione David Hume. 

Oltre a fare il prof. universitario, di Sociologia e Analisi dei dati, negli ultimi 16 anni ho fatto il mestiere di editorialista. I quotidiani con cui ho collaborato, la Stampa, Il Sole 24 Ore, il Messaggero erano (e sono tuttora) politicamente poco caratterizzati. In concreto, vuol dire che potevo scrivere (quasi) tutto quel che mi passava per la testa. Certo, mi è capitato di sentire qualche volta la pressione a non essere troppo crudo, ma mai ho avuto la sensazione che ci fossero cose vere che non si potevano dire (...). Oggi è ancora così? Per certi versi credo di sì. Anche oggi, nessuno ti dice che cosa devi scrivere, e che cosa non puoi scrivere. Ma per altri versi sento che no, non è più così. Un clima come quello che si respira da 8-9 mesi a questa parte non mi è mai capitato di avvertirlo prima, forse perché non sono abbastanza vecchio per avere memoria di quel che può diventare il mestiere di editorialista indipendente quando scoppia una guerra. Già, perché questo è successo: alla fine del 2020 l'Italia, come ogni altra nazione europea, ha dichiarato ufficialmente guerra al virus. E, nello stato di guerra, tutto cambia. La popolazione è chiamata a cooperare allo sforzo bellico, e chi è nella condizione di vestire la divisa (i maggiorenni) è tenuto ad arruolarsi (vaccinarsi). Chi rifiuta di farlo è considerato un disertore, chi non partecipa alla campagna di arruolamento, o lo fa esprimendo qualche riserva, viene visto come un disfattista. I media principali sono chiamati a dare il loro contributo a vincere la guerra che è stata dichiarata. Non era mai successo, dalla fine della seconda guerra mondiale, ossia dall'ultima guerra vera scoppiata in Europa. Ed ecco il problema. Il lavoro dello studioso, se non è accecato dall'ideologia e dalla faziosità, non è quello di sostenere con tutti i mezzi una determinata causa, foss'anche la più nobile. Il lavoro dello studioso è di dire le cose come stanno, in base alle risultanze della ricerca scientifica. Se non fa questo, e decide che cosa dire e che cosa non dire in base all'opportunità politico-militare del momento, perde completamente la sua credibilità. Ma dire le cose come stanno è difficile nel corso di una guerra, e lo è particolarmente sui media più autorevoli (stampa e tg), che - giustamente dal loro punto di vista - si sentono impegnati in una missione suprema, la guerra al Covid, non certo a dare ai propri lettori una rappresentazione accurata della realtà. Il guaio, per lo studioso, è che - fra le molte cose vere o supportate dai dati - ve ne sono parecchie che non tengono alto il morale delle truppe, o addirittura hanno effetti di demoralizzazione (...).

 

 

 

Fake checking

Questa compulsione a prendere partito, riducendo al minimo i dubbi e le sfumature, è tanto più interessante quando si manifesta negli interventi di fact checking, i cui estensori ambirebbero ad un ruolo di giudici obiettivi e neutrali: anche lì, dopo poche righe, capisci dove si va a parare. La pratica del fact checking, proliferata durante il Covid, meriterebbe uno studio a sé. In innumerevoli casi si è trasformata in una sorta di killeraggio a danno delle posizioni eterodosse, anche se sostenute da studiosi autorevoli (...). Forse il caso più clamoroso di killeraggio è stato quello nei confronti degli scienziati che sostengono la tesi, minoritaria ma non del tutto priva di argomenti a supporto, secondo cui la vaccinazione di massa - in presenza di alti livelli di circolazione del virus - possa favorire la nascita di varianti resistenti al virus. Questa tesi, giusta o sbagliata che sia, è stata completamente cancellata dalla comunicazione pubblica, perché avrebbe potuto instillare il dubbio che sia stata una follia, nell'autunno-inverno del 2020, non abbattere la circolazione del virus prima di iniziare la vaccinazione di massa; e ora potrebbe alimentare il sospetto che la vaccinazione non basti, e che l'era delle restrizioni e dei lockdown non sia affatto finita. Nonostante gli sforzi per cancellarla e squalificarla, la tesi della pericolosità della vaccinazione di massa in condizioni di alta circolazione del virus sta faticosamente riemergendo nel dibattito scientifico, anche in sedi prestigiose come la rivista Nature. Forse, dovremmo smettere di parlare di fact checking, e prendere atto della mutazione: in epoca di guerra, il fact checking si è trasformato in fake checking, al servizio dell'ortodossia dominante(...).

Disattenzione

Lo stile omissivo tocca sia la comunicazione provax, volta alla promozione della campagna vaccinale, sia quella nivax, volta a sollevare dubbi sulla vaccinazione (...). È il caso di notare, tuttavia, che vi sono anche omissioni che, almeno a prima vista, non hanno una evidente finalità pro o antivax. Sembrano, piuttosto, frutto di un mix di superficialità, disattenzione, gregarismo (...). Rientrano in questa categoria tre casi di "sproporzionata disattenzione" a ipotesi scientifiche interessanti e - se vere - potenzialmente ricche di conseguenze pratiche: 1. la trasmissione aerea del virus (attraverso aerosol, anziché attraverso le goccioline); 2. il ruolo protettivo della vitamina D; 3. le basi genetiche della suscettibilità individuale al virus, nonché l'esistenza (da gennaio 2021) di un test per individuare gli italiani suscettibili (circa 1 su 6); Sul primo punto (trasmissione mediante aerosol), il silenzio è durato circa un anno. Nonostante pubblicazioni scientifiche e appelli di centinaia di scienziati di decine di paesi, per tutto il 2020 l'Oms non ha mai voluto prendere seriamente atto di questa possibilità. In Italia, grazie a una lettera aperta del prof. Giorgio Buonanno, l'allarme sulla realtà della trasmissione mediante aerosol era scattato fin dal 27 marzo 2020, ma è stato completamente ignorato dalle autorità sanitarie, e solo tardivamente preso in qualche considerazione dai mass media. Sul secondo punto (vitamina D), salvo isolate eccezioni, l'attenzione dei media è stata sempre bassissima, e sostanzialmente succube del Ministero della Salute che, diversamente dalla comunità scientifica, ha sempre cercato di togliere ogni legittimità all'ipotesi di un nesso fra carenza di vitamina D e suscettibilità al Covid. Ancora oggi (settembre 2021), sul sito del Ministero, l'ipotesi è sbrigativamente derubricata a fake news. Sul terzo punto (basi genetiche), l'esistenza di una copiosa letteratura scientifica, e l'indubbia importanza dell'esistenza di un test (dell'Università di Verona) per individuare i soggetti più a rischio, non sono bastati ad attirare l'interesse dei media e delle autorità sanitarie (...).

 

 

 

I tabù di provax e nivax

Ma torniamo ai tabù dei media provax e nivax. L'informazione provax è incapace di accettare qualsiasi notizia scientifica che vada contro il totem della vaccinazione, così smorzando il consenso del pubblico, o disturbando i piani del governo. Nell'estate 2021, in piena stagione turistica, è stata messa la sordina alle ricerche che dimostravano che anche i vaccinati possono trasmettere il virus, e che non è affatto vero che fra vaccinati non ci si infetta: l'imperativo categorico era rendere desiderabile la vaccinazione, e favorire il decollo del Green Pass. È presumibile che nascondere i limiti della vaccinazione possa aver spinto la vaccinazione stessa, ma è certo che magnificare acriticamente le virtù protettive dei vaccini ha contributo a ridurre la vigilanza e il rispetto delle regole di prudenza (...). L'informazione nivax, d'altro canto, pare strutturalmente incapace dileggerei dati. Ogni sorta di espediente logico viene usato per mettere in dubbio l'efficacia del vaccino. (...) Interessanti le ingenuità alla Cacciari, miseramente franato sul "paradosso di Simpson", una trappola statistica in cui si può cadere quando la relazione fra due variabili (vaccinazione e decesso) viene analizzata ignorando una terza variabile (l'età) che può capovolgere il segno della relazione. E infatti gli stessi dati invocati da Cacciari per insinuare che il vaccino non funziona, correttamente analizzati, provano semmai l'esatto contrario (...). Alle fine, quel che accomuna i due campi è l'omissione di informazioni rilevanti, e la selezione arbitraria di pezzi di informazione funzionali alla tesi che si vuole difendere, il cosiddetto cherry picking.

 

 

 

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