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Enrico Letta e sinistra, il sogno proibito: far saltare il banco di governo e dar la colpa a Salvini

Fausto Carioti
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Da lunedì, a Matteo Salvini e agli leader del centrodestra servirà sangue freddo. Proprio quello che adesso scarseggia, tra gli alti ei bassi (più i secondi dei primi) dei candidati sindaco della coalizione e il caso Morisi. Al Nazareno, infatti, c'è un Enrico Letta che incrocia le dita e prega che l'esito delle Comunali spinga l'ex ministro dell'Interno a uscire dal governo. Che nei voti di lista la Lega finisca dietro a Fdi e dunque Salvini, per recuperare consensi nei confronti di Giorgia Meloni, la affianchi all'opposizione. Se poi questa operazione provocasse una scissione, con la creazione di un partitino modello vecchia Lega Nord, ancorato a Mario Draghi e guidato magari da Giancarlo Giorgetti, meglio ancora. Salvini e Giorgetti, al momento, non nutrono simili intenzioni. Né tra loro c'è una questione personale. Il problema è solo politico. Giorgetti è convinto che la strada giusta per la Lega sia opposta a quella indicata da Claudio Borghi ed Alberto Bagnai. Ossia che si debba restare nella maggioranza difendendo il Green pass e cercando di condizionare l'azione del governo, a difesa delle imprese e dei contribuenti, soprattutto del Nord. Con l'obiettivo di piantare le tende nello spazio un tempo occupato da Forza Italia e dialogare con i leader centristi, più che con la Meloni.

 

 

 

Un disegno il cui antipasto è stato proprio l'apprezzamento espresso da Giorgetti per Carlo Calenda, candidato nella capitale contro il "meloniano" Enrico Michetti. Sinora, Salvini è stato d'accordo con Giorgetti sulla cosa più importante: restare nel governo, seppur lasciando ampio spazio di manovra a Borghi, Bagnai e gli altri. Ma quanto può reggere un partito divisoin questo modo? Regge finché si vince, perché conviene a tutti. Ma con le sconfitte si inizia a litigare. Ed è proprio questo che sperano nel Pd, eccitati dai sondaggi scambiati in queste ore nelle chat dei dirigenti e dei parlamentari: che i candidati del centrodestra abbiano la peggio a Roma e Milano e che Fdi si riveli più forte della Lega. E che tanto basti a scatenare la reazione esplosiva. Perché Letta ha due possibilità. La prima è quella che ha in mente da mesi: fare di tutto per tirare la legislatura sino alla scadenza naturale, nel marzo del 2023, usando questo tempo per rafforzare il "nuovo Ulivo" nel quale ha già accolto Giuseppe Conte. Significa lavorare per eleggere al Quirinale qualcuno che non sia Draghi. Con la Lega all'opposizione, spetterebbe innanzitutto alla coalizione di governo "modello Ursula" trovare un candidato, che certo non potrebbe pendere troppo a destra.

 

 

 

Paolo Gentiloni, ad esempio. L'altra strategia è quella opposta, che gli ha suggerito Goffredo Bettini: spedire proprio Draghi sul Colle per provocare la fine anticipata della legislatura. È l'ultimo spiffero che esce dal Nazareno. «Se il Pd va molto bene alle amministrative», avverte un dirigente dei democratici, «Letta spinge Draghi al Quirinale e punta ad elezioni ad aprile». Se poi riuscisse a rovesciare su Salvini la responsabilità di aver fatto saltare il tavolo e impedito la prosecuzione del programma di governo sotto un altro premier, ad esempio il ministro dell'Economia Daniele Franco, Letta avrebbe compiuto un capolavoro. Sangue freddo, quindi.

 

 

 

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