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Suicidio assistito? Legale solo in 7 paesi su 194: le cifre e qualche dubbio su cui riflettere

Gianluca Mazzini
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Le statistiche mondiali sono angoscianti e parlano di un numero di suicidi che sfiora il milione ogni anno. Ma i tentativi di suicidio si calcola siano molti di più: oltre 135 milioni. La sproporzione tra il numero di chi tenta di togliersi la vita e coloro che effettivamente ci riescono è anche dovuto anche a ripensamenti e soccorsi tempestivi. Del resto se vediamo una persona che sta per suicidarsi esprimendo la sua "autodeterminazione" cosa facciamo: gli diamo una spinta o cerchiamo di salvarlo? Da sempre gli Stati combattono il suicidio in nome del principio morale millenario e di civiltà giuridica del "non uccidere l'innocente". Fino ad oggi in Italia l'aiuto al suicidio è sempre stato punito dal Codice penale (art 580) Il 25 ottobre arriva alla Camera il Testo Unico sul "suicidio assistito", già licenziato dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali ai primi di luglio mentre i Radicali hanno raccolto le firme per un referendum abrogativo che punta ad eliminare il reato di omicidio del consenziente. Non a caso si parla di referendum sull'eutanasia legale. "Quello che colpisce" spiega Toni Brandi della onlus Pro Vita e Famiglia «è che nel mondo solo 7 paesi su 194 hanno legalizzato il suicidio assistito mentre perfino in Olanda che è considerata la patria dell'eutanasia dove si somministra la morte in modo spregiudicato ai bambini, ai malati di mente e anche a chi è "stanco di vivere" questa pratica resta illegale».

 

 

 

È evidente che il suicidio assistito porta con se il rischio di grandi abusi ai danni di persone fragili, malate e anziane. «Quello che viene presentato come un diritto è in realtà una grande sconfitta per tutta la società che non è in grado di dare alternative al malato sopprimendo il sofferente invece di sopprimere la sofferenza applicando finalmente la legge 38 sulle cure palliative. Una vera e propria cultura dello scarto dove anziani e malati ne fanno le spese» aggiunge Jacopo Coghe vicepresidente di Pro Vita e Famiglia. Esiste una sottile ma non insignificante differenza tra suicidio assistito ed eutanasia. Nel primo caso il medico fornisce a una persona un farmaco in grado di procurane la morte che la persona utilizza personalmente. Quindi il medico non provoca direttamente la morte. Nell'eutanasia invece è il medico stesso a provocare la morte.

Esistono poi due tipi di eutanasia: una attiva dove il medico somministra un farmaco, solitamente per via endovenosa, e una passiva dove il medico si limita a sospendere le cure o a spegnere le macchine che tengono in vita un paziente. Su un tema tanto drammatico e delicato dal punto di vista etico si nota una grande freddezza della politica e spicca l'assenza della Chiesa. L'opinione pubblica informata in modo approssimativo accetta il concetto di eutanasia. Curioso notare che mentre nel mondo quasi nessuno vuole il suicidio assistito noi puntiamo a legalizzarlo incuranti degli abusi che ne conseguiranno. Nei Paesi dove è legalizzata questa pratica le condizioni previste dalla legge vengono spesso ignorate e la morte viene data anche a malati non gravi, bambini, soggetti depressi e alcolizzati.

 

 

 

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