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Ddl Zan, "Le belle rane...": il ritornello profetico di Massimo Boldi ed Enzo Jannacci

Andrea Cionci
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I matti possono dire sempre la verità e a volte hanno anche il dono mistico della profezia. Risuona oggi come un pazzo- ma bonario- sberleffo agli sconfitti censori arcobalenati, la canzone "Zan Zan le belle rane". Capolavoro del nitroglicerinico duo Massimo Boldi - Enzo Jannacci (l'unico cantastorie di sinistra simpatico), i quali, nel 1983, se ne uscirono con un Lp totalmente folle, "Discogreve" che annoverava tra le ultime perle questa canzone surreale: «Amore, nella necessità, nella difficoltà, zitto zitto, sto sempre zitto. Amore, nella tua scemità, nella tua nullità, sto sempre zitto»... e dopo il recitativo strascicato e cacofonico, parte un irresistibile Rhytm & blues venato dal rock: «Sei repellente, Lisa, però mi piaci così! Sei sciabollente, Lisa, però mi piaci così, cosìììì, perché con te io faccio zan, zan, zan! Zan, le belle rane, zan, le belle rane, zan!». Notevolissima la voce superbamente "graffiata" di Boldi, che solo a tratti, in improvvisi melismi, si fa riconoscere come quella del "Cipollino" a tutti familiare. Sopra un clamoroso giro di basso, le parole vorticano in totale anarchia evocando l'assoluta libertà di un amorazzo "stonato", "sbagliato", con una "repellente Lisa", puzzolente, nullatenente, ma che comunque piace da matti all'autore della serenata, alla fin fine solo perché ci fa insieme un onomatopeico "zan zan".

 

 

 

E questo Amore «nella sua scemità, nella sua nullità», ci potrebbe ricordare che se l'«amore è amore», è comunque una scemata, un fuoco di paglia, come quasi tutte le passioni umane. Una parola senza senso che si può attribuire ad ogni emozione, dalla più candida e spirituale a quella più carnalmente depravata o perfino omicida. E pare di vederlo Jannacci, rubizzo, coi denti candidi sempre baluginanti nel sorriso folle, che alza beffardo il bicchiere ai nipotini rachitici e svenevoli del Pci i quali, dalla salopette del metalmeccanico con chiave inglese brandita a mo' di clava, sono passati a indossare i leggins fucsia per pretendere uterini in affitto, matrimoniucci, censurette. «Ma andate a ciapà i rat», sembra dire, ad Alessandro Zane alle sue belle rane, Jannacci, già autore della omosatirica "Silvano" (1980). Vi è andata bene, alla fine: l'approvazione del ddl sarebbe stata un disastro, oltre che per le libertà minime di espressione, anche e soprattutto per i gay che non contano niente, per gli omosessuali di paese, figure da sempre "istituzionali" come il parroco, il farmacista e il maresciallo dei carabinieri, che avrebbero pagato (solo loro e solo da adesso) un livore sociale creato dal nulla proprio dai privilegi da Ancien Régime introdotti da questa legge sciagurata e antistorica.

 

 

 

E così, Jannacci, rosso in volto e nel cuore, si fa beffe di voi, ormai divenuti difensori dei ricchi e dei potenti. La sua canzone matta, ma sapiente, vi dice: "Dai, piantatela, su!". Ognuno si goda il sesso per come gli piace, con la propria Lisa, anche se sbagliata, nullatenente e repellente: renderà conto ai propri principi etici o religiosi, alla propria coscienza, e affronti con il rustico, irriverente orgoglio di Massimo Boldi il giudizio - sempre inevitabile - della gente. Troviamoci all'osteria con Jannacci, tutti insieme, anche con Zan e i suoi amici, e brindiamo a quell'undicesimo fondamentale comandamento che, purtroppo, Dio si dimenticò di dare a Mosé sul monte Sinai: «Ognuno si faccia gli affari propri». 

 

 

 

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