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Patrimoniale agli italiani, solo mini tasse alle multinazionali: i compagni non protestano?

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Giuliano Zulin
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Una delle più grosse accuse rivolte alle grandi multinazionali, soprattutto quelle tecnologiche, è che sfruttando triangolazioni finanziarie extra-confine alla fine non pagano le tasse dovute. D'altronde esistono i paradisi fiscali, tollerati in quanto ogni Stato è sovrano e determina le imposte che vuole. Gli Usa però, dopo aver speso vari trilioni di dollari per far ripartire il Paese dopo la pandemia, necessitano di entrate, così hanno chiesto al G20 di introdurre una tassazione minima del 15%.

 

 

Tutti i 20 Paesi hanno aderito, nella speranza - americana che i colossi di Internet si decidano a versare le imposte nella terra dello Zio Sam. Ma gli altri Stati? L'Irlanda, l'Olanda o il Lussemburgo accetteranno di farsi del male pur di fare un piacere a Biden o all'Europa che, stranamente, è felice? Festeggiano per l'accordo sul 15% anche i progressisti, fedeli alla dottrina di Joe, con Gentiloni in prima fila, dimenticando che in Italia nessuno ha la possibilità di pagare solo il 15%. I lavoratori dipendenti versano al fisco dal 23 al 43 per cento. Non parliamo delle partite Iva...

 

 

Una Amazon invece sborserà un terzo in meno, se gli va male. I compagni tuttavia non si indignano, poiché non pensano più ai lavoratori, sono obnubilati dalle loro battaglie sui gay, sugli immigrati o sul clima, non vedendo che la speculazione finanziaria sta riscaldando i prezzi, erodendo così il potere d'acquisto delle famiglie. La transizione ecologica sta per ora impoverendo i meno abbienti e ingrassando ancora di più i cosiddetti ricchi, i quali saranno anche disposti a versare - come chiedono Fratoianni e lo stesso Biden - un obolo allo Stato, così si saranno puliti la coscienza. Tanto guadagneranno ancora di più, mentre la classe media s'impoverirà. Ma per questo la sinistra non va più in piazza. È ricca...

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