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G20, ecco perché sarà un autogol per l'Italia: quale rischio corre il nostro Paese

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Sandro Iacometti
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Può sembrare un paradosso, ma il G20 della celebrazione di Mario Draghi, quello in cui il premier viene coperto di lodi per la sua leadership internazionale, per il lavoro fatto sulla campagna vaccinale, per l'impegno sul Recovery plan e per qualsiasi cosa di «straordinario» (Biden dixit) vi venga in mente, per l'Italia potrebbe essere una fregatura. Il fantasmagorico summit di Roma, il primo dopo due anni che si svolge in presenza, con un'ammucchiata di leader e capi di Stato e un affollamento di first lady che non si vedeva da tempo, alla fine è sempre il solito G20, pieno di altisonanti e roboanti impegni, che difficilmente troveranno applicazione concreta. Un po' per la vaghezza (il multilateralismo, la cooperazione internazionale, l'attenzione ai Paesi più vulnerabili), un po', come nel caso della global minum tax, per la difficoltà di trasformare in leggi nazionali accordi di massima presi a livello mondiale.

 

 

Ma oltre ad essere il G20 dell'emergenza sanitaria e della ripresa post pandemica, questo è anche il G20 del clima. E qui le cose cambiano. Su questo terreno, purtroppo, le promesse irrealizzabili e i cuori gettati oltre l'ostacolo producono anche effetti concreti, come quelli che stiamo vivendo in questi mesi in Europa, e soprattutto in Italia, per colpa della crisi energetica. Qualcuno, come il premier francese Emmanuel Macron, ha provato a buttare lì la proposta pragmatica e sensata di un coordinamento mondiale sul controllo dei prezzi. Ma al G20 si parla solo di nobili ideali e magnifici traguardi. Quindi lo sguardo resta puntato, irrazionalmente, su quel contenimento dell'aumento del riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi rispetto al periodo preindustriale e sull'azzeramento totale dei gas serra entro il 2050.

SUICIDIO
Una missione suicida che, ed ecco il bello, la Ue, con noi a ruota, ha deciso di mettere in atto pure se nessuno la seguirà. Anche senza il contributo dei principali inquinatori del pianeta, come Cina e India, che ieri hanno fatto chiaramente capire che questo non è proprio il momento più adatto per pensare all'ambiente. Xi Jinping, che non è esattamente uno stupido, ha detto che le questioni ambientali sono importantissime e bellissime, ma sono i Paesi sviluppati (Cina e India sono ancora considerate economie "emergenti") che devono dare l'esempio, riducendo per primi le emissioni. Giusto. Ma se l'Europa, che produce solo il 9% dell'inquinamento mondiale, azzera la sua Co2, che aiuto potrà mai dare al pianeta? Nessuno lo sa, ma indietro non si torna. Per risolvere il problema della mancata unanimità si userà il solito trucco: si annacqua l'impegno.

 

 

Nel testo finale del G20 invece di 2050 si parlerà genericamente di «metà secolo». E si andrà avanti. Anche perché oggi inizia la tanto attesa Cop26 di Glasgow. Anche lì non ci sarà alcun accordo, ma l'azzeramento delle emissioni resterà comunque l'obiettivo comune. Col risultato che i sacrifici fatti dai Paesi, come il nostro, che decideranno di combattere da soli i cambiamenti climatici saranno enormememente più elevati ed incredibilmente inutili. L'evanescenza e l'assenza di pragmaticità dei vertici internazionali, unite alla testardaggine con cui alcuni leader occidentali, e Draghi (per convinzione o per fedeltà europeista) è tra questi, si ostinano ad inseguire una pericolosa chimera potrebbero provocare all'Italia, assai fragile sotto il profilo energetico, danni ben più elevati e ben più immediati dei paventati squilibri dell'ecosistema.

 

 

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