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No Green pass, non c'è solo il Covid dietro le proteste: il fattore sottovalutato

Francesco Carella

Che le piazze delle maggiori città italiane continuino a riempirsi di manifestanti dalla composizione eterogenea - dall'estrema destra agli ex brigatisti rossi - in segno di protesta contro il Green pass è qualcosa che richiede un'analisi più ragionata, per comprendere quali siano le motivazioni profonde che muovono a cadenza settimanale decine di migliaia di persone. La sensazione è che le contestazioni di tipo sanitario rappresentino solo l'epifenoneno di una realtà assai più complessa che già da alcuni anni manda segnali inequivocabili circa lo stato di malessere che attraversa la società civile nel nostro Paese a partire dalla crescente e fin qui sottovalutata disaffezione elettorale.

 

Si tratta di un insieme di espressioni riconducibili a quella patologia chiamata dallo storico francese Pierre Rosanvallon "democrazia della sfiducia" che in Italia sta esplodendo in maniera particolarmente marcata. Uno dei segni distintivi di tale anomalia consiste nel fatto che «la sovranità del popolo si manifesta sempre più come potenza di rifiuto sia nei periodici appuntamenti con le urne che nell'opposizione permanente alle decisioni dei governanti». In tal senso, i cortei no green pass rappresentano la spia di quanto possano rivelarsi fragili i sistemi di democrazia liberale allorquando, a fronte di delicate situazioni di emergenza, in luogo del rispetto della decisione pubblica si sviluppano sacche di resistenza tali da fare vacillare la stessa obbligazione politica, ovvero il legame comando-obbedienza alla base di qualunque convivenza pubblica.

Ciò che è stato dimenticato dalla classe politica negli ultimi anni - a differenza dei partiti che nel secolo scorso svolsero una continua opera di "pedagogia civica" presso i ceti che rappresentavano- è che le democrazie funzionano a patto che le élite politiche non dimentichino che esse debbano essere rivitalizzate attraverso la somministrazione di una dose costante d'ideali e d'interessi. Operazione necessaria per ottenere un bilanciamento fra i risultati raggiunti dalle parti in conflitto per mezzo delle istituzioni elettorali-rappresentative e la silenziosa fiducia espressa alla classe di governo dall'intero corpo elettorale. Non c'è da stupirsi che da tale dimenticanza prenda origine l'attuale frattura fra élite e popolo.

 

Né deve meravigliarci che una tale rottura stia assumendo in Italia forme di pericolosa destabilizzazione. La ragione si rintraccia nel fatto che una delle modalità più amate negli ultimi tempi dalla nostra classe politica sia stata quella di costruire maggioranze indipendentemente dalla volontà espressa dagli elettori, quando, invece, per cercare di ripristinare l'equilibrio perduto fra governanti e governati ci sarebbe stato bisogno di una riforma dei meccanismi di voto che avesse avuto come obiettivo primario la formazione di esecutivi secondo l'orientamento espresso dal cittadino-sovrano. Il costituzionalista Giuseppe Maranini ripeteva spesso che "le istituzioni e i sistemi elettorali posseggono autonomamente la capacità di modificare sia i valori che gli atteggiamenti collettivi". Una lezione da ricordare per cercare di rimettere in comunicazione la Piazza con il Palazzo.