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Dai Greci ai No Vax: come e perché vivere nel dubbio

 Il Pensatore di Rodin, emblema del dubbio

Il libro della Camps ne spiega l'influenza sul fanatismo religioso, il potere e la manipolazione dell'informazione. Carofiglio lo usa come metodo scientifico. Per De Crescenzo era il sale del pensiero: storia ed effetti del vizio di porsi le domande.

Francesco Specchia
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A delineare, cartesianamente, che un allegro scetticismo sia l’inizio della conoscenza, viene in mente una lezioncina che il compianto Luciano De Crescenzo impartiva ai suoi lettori, indicando un punto interrogativo e uno esclamativo su una lavagna nera come tutti i pregiudizi del mondo.

Diceva, Luciano: “Il bene (indicando il punto interrogativo) è il dubbio, quando voi incontrate una persona che ha dei dubbi state tranquilli, vuol dire che è una brava persona, vuol dire che è democratico, che è tollerante; quando invece incontrate questi qui (indicando il punto esclamativo), quelli che hanno le certezze, la fede incrollabile, e allora stateve accorte, vi dovete mettere paura, perché ricordatevi quello che vi dico: la fede è violenza, la fede in qualsiasi cosa è sempre violenza”. Infine chiosava con un “ricordatevi che solo gli stupidi non hanno dubbi. E di questo non ho alcun dubbio”, il che poteva essere tranquillamente un paradosso parmenideo, epperò introduceva con ironia un dibattito vecchio quanto la Storia. Quanto conta fermarsi a riflettere, interrompendo il flusso delle certezze?  Fino che punto si può confutare la realtà che gli altri ci rappresentano? E’ lo stesso dibattito che oggi riaccende la filosofa morale Victoria Camps con Elogio del dubbio (Hoepli, pp 132 euro 16,90), pamphlet irrequieto in cui ripercorre le vicissitudini del dubbio nella storia del pensiero, maneggiando le pagine di Descartes, di Spinoza, di Hume, di Montaigne (gettonatissimo), di Russell e molti altri. Camps lo fa affrontando argomenti spinosi – il fanatismo identitario, l’informazione e la manipolazione, il rapporto tra occupazione dello spazio pubblico e del potere- con dovizia di argomentazioni. L’autrice si addentra in territori complessi. Per esempio, dietro l’entusiasmo contemporaneo per i fanatismi islamici (in periodo di ritorno dei Taliban, nulla di più attuale) vede una raffinata strategia: “A differenza della fede in convinzioni astratte, il fanatismo non relativizza nulla, ha ben chiaro quali siano i suoi scopi e ciò che motiva le sue azioni. Il dubbio non rientra nei loro calcoli, neppure per valutare se il mezzo più efficace per raggiungere i propri obbiettivi sia la violenza. Il fanatismo non ha niente di irrazionale: gli obbiettivi sono chiari, così come i mezzi per raggiungerli”. Nel caso dei Talebani si tratta dell’obbiettivo del riconoscimento della Sharia da parte della comunità internazionale e di una martellante, contestuale opera di proselitismo. Poi Camps insiste sul manicheismo dei dibattiti politici, soprattutto in tv “che sono valutati come se fossero una partita di calcio: un candidato deve vincere e l’altro deve perdere. Non si valuta niente altro”.

La prof nota che la società possiede però degli anticorpi a tutte posizioni apodittiche, alle dannose certezze; “lo dimostra il rifiuto generalizzato che meritano i cosiddetti negazionisti e creazionisti. Coloro che si ostinano a negare che l’Olocausto sia mai esistito, coloro che si aggrappano al mito biblico della creazione del mondo contro la teoria dell’evoluzione, sono bollati da tutti, tranne che da loro come ignoranti o falsari”. Ma il dubbio come germe della democrazia resta regola aurea nei rapporti umani. Specie di questi tempi. E qui s’innesta l’attualità. E si realizza che il primato dell’ideologia connota soprattutto il dibattito sui media attorno all’uso vaccino, tra pro vax e No vax (che fino a ieri era impensabile mettere sullo stesso piano dialettico).

E qui ci viene in aiuto un altro saggio, appena uscito, Le ragioni del dubbio (Einaudi, pp 190, euro 13,50) della sociolinguista Vera Gheno. Laddove l’eccesso di dubbio diventa un’arma terribile, per esempio, da parte dei No Vax che la usano per mettersi sullo stesso livello di interlocutori armati di evidenze scientifiche. E, contro l’assalto delle incompetenze al buonsenso, Gheno cita il “terrore semantico” dell’anti-lingua di Italo Calvino e consiglia, in un dibattito pubblico, di “non asfaltare l’interlocutore ma usare la tecnica aikido, non colpi diretti “ma far cadere l’avversario sfruttando il suo stesso impeto”. Cioè non replicare all’offesa ma concentrarsi sull’essenza della polemica; l’avversario sbraita, va in escandescenze e poi si placa e si ritira, “pensando di aver vinto il confronto”. Non so quanto possa funzionare, come tecnica.

Il dubbio è storicamente grimaldello di coscienze. Un ulteriore suo interessante impiego è , per esempio, in ambito processuale. Gianrico Carofiglio, da magistrato, vergò anni fa L’arte del dubbio, un interessante manuale sulla tecnica dell'interrogatorio, su come demolire o rafforzare una testimonianza nel dibattimento penale. Era indirizzato agli operatori del diritto e ai freschi avvocati e pm che spesso si trovavano nella condizione di insinuare il dubbio nella realtà processuale (l’espressione “al di là di ogni ragionevole dubbio” non è coniata a capocchia), ma divenne un best seller per il grande pubblico. Non a caso. Tolstoj immerso nelle incertezze, indicava il dubbio come il peccato originale, ma anche come l’unica lampada di conoscenza che potesse illuminare l’oscura umanità…

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