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Matteo Salvini, "carta bianca fino al 2023". Retroscena Senaldi, la verità sui "pieni poteri" nella Lega

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Pietro Senaldi
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«È stata una bella riunione, ciascuno ha detto la sua e alla fine il segretario ha tirato fuori la sintesi. Una cosa è certa: la Lega è granitica, non è nata per avere correnti». Il senso del consiglio federale più vibrante e chiacchierato da molti anni a questa parte lo tira fuori il governatore del Veneto, Luca Zaia, il saggio, colui che non alzai toni e non fa polemiche, l'uomo del fare tanta amministrazione e poca politica, quasi zero. Prima di iniziare il vertice, Salvini aveva detto: «Ascolto tutti, poi decido. Come al solito». E tutti in effetti hanno fatto il loro intervento, senza sconti né controproducenti timori riverenziali. Ma nessuno ha attaccato la leadership di Matteo, le critiche si sono limitate ai fatti. I governatori, soprattutto Fedriga, hanno processato la linea tenuta su Green pass e vaccini. Il ministro Giorgetti ha fatto ammenda per il paragone tra Matteo e Bud Spencer e per il modo con il quale ha portato la sua critica, ma ha ribadito con forza che secondo lui, per il bene della Lega e del suo capo, bisognerebbe in Italia mandare Draghi al Quirinale e in Europa mollare le destre per entrare nel Ppe con Forza Italia.

 

 

Il vicesegretario Crippa ha processato la classe dirigente del Sud. E quindi? Salvini ha concluso: «Fidatevi e vi porterò alla vittoria». Tutti ci hanno creduto, anche se ciascuno mantenendo le proprie idee. Carta bianca quindi al segretario, l'uomo del miracolo, l'ex ragazzo tutto grinta e partito che ha preso la Lega al 3% e l'ha portata al 34. Matteo conserva i pieni poteri nel Carroccio per le prossime battaglie, che saranno decisive, per lui e per la sua creatura, che non è mai stata a rischio spaccatura e resta compatta, pur con diverse teste pensanti. Capo indiscusso fino al voto delle Politiche, che sia nel 2022 o l'anno dopo, a fine legislatura, a prescindere da come finirà la partita per il Quirinale. Per il Colle, Giorgetti ha indicato Draghi, che sarebbe un ombrello straordinario per un premier di centrodestra in caso di vittoria alle elezioni ma, in quanto non divisivo, andrebbe alla perfezione anche in caso di sistema proporzionale e governo di larghe intese. Salvini però resta fermo sulla promessa fatta a Berlusconi, che anche Fdi sostiene.

 

 

Sarebbe una goduria per il centrodestra piazzare Silvio al Quirinale in faccia alla sinistra; tanto più che, se all'ultimo il Cavaliere dovesse realizzare di non avere i numeri, sarebbe il primo lui a spingere per Draghi e intestarselo. Chi dice che il federale è servito a poco, semina zizzania. L'intervista fatta da Repubblica ieri a Maroni, che sposa la linea Giorgetti, è l'ennesimo tentativo della sinistra di spaccare il partito e trovare un Fini nella Lega, dopo che è apparso chiaro a tutti che il ministro dello Sviluppo non si presta alla parte. Fa il Grillo Parlante, non il pretendente al trono. Gioca su altri tavoli. Il Capitano e il punto d'approdo sono stati confermati, l'equipaggio è stato riallineato, la rotta definitiva verrà tracciata nell'assemblea dell'11 e 12 dicembre. I problemi non sono tutti risolti ma la tempesta è passata e almeno fino a febbraio la navigazione sarà tranquilla. 

 

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