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Sempre meno qualità politica sempre più astensionismo. L'analisi dell'imprenditore Andrea Pasini

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Politica senza cittadini e cittadini senza politica. Questa frase racchiude tutta l’essenza di ciò che sta succedendo a livello politico e sociale nel nostro Paese da qualche decennio a questa parte. Le ultime elezioni amministrative ne sono state la dimostrazione plastica. L’astensionismo cresce implacabile e sembra che a nessuno questo dato catastrofico per la nostra democrazia interessi più di tanto.  

La realtà è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo letto tutti i numeri, ma soprattutto tutti noi a un certo punto abbiamo provato una sorta di stanchezza, se non di disgusto, nei confronti di una certa politica. Si tratta di sentimenti diffusi che riflettono in maniera chiara e precisa quello che sta accadendo. Nelle ultime elezioni amministrative, la percentuale di astensionisti nelle quattro maggiori città italiane - Roma, Milano, Napoli e Torino - è stata pari al 52%. Al primo turno, hanno votato meno della metà dei romani (48,54%), dei milanesi (47,72%), dei napoletani (47,17%) e dei torinesi (48,08%).
La quota è scesa ulteriormente nei comuni andati al ballottaggio, attestandosi al 42% degli aventi diritto a Torino e addirittura al 40,7% a Roma. Dal 1993 a oggi, i votanti al primo turno delle amministrative sono scesi del 41% nelle quattro maggiori città d’Italia.

Dati allarmanti che si uniscono al declino nelle adesioni ai partiti e alla sfiducia generalizzata verso i “politici” e le stesse istituzioni democratiche. Ora, la domanda che la politica (tutta, senza differenza di colore) dovrebbe porsi è: perché questa indifferenza e perché questo disamoramento profondo da parte dei cittadini verso la politica? Si tratta di un fenomeno complesso, spiegabile con il concorso di molte cause.

Una prima ipotesi fa riferimento alla teoria dello scienziato politico Benjamin Constant in merito alla “libertà politica” e si lega fortemente al concetto di individualismo. In pratica, la società moderna ha portato con sé inedite possibilità di realizzazioni nella sfera privata, portando così a un disinteresse verso i diritti politici.

Manca il tempo e manca l’interesse per ciò che sembra non incidere più di tanto sulla propria vita personale. E si finisce col vivere, e col percepirsi, più come consumatori che come cittadini. Il fenomeno della fuga dalla politica riguarda oggi in primo luogo i ceti meno abbienti e meno garantiti. Disoccupati, precari, marginali, poveri e impoveriti rappresentano il grosso dell’esercito del non voto e della non partecipazione. Non si tratta di soddisfazione e tanto meno di benessere.

Lo scarso interesse delle classi più fragili per la politica riflette lo scarso interesse della politica verso le classi sociali più vulnerabili. Politica senza cittadini e cittadini senza politica racchiude anche questo concetto. Questo tema corrisponde infatti all’idea che il distacco tra politica e cittadini si è realizzato in questi anni in due direzioni. Se per un verso sempre più cittadini si sono allontanati dalla politica, per altro verso è la politica stessa a essersi sottratta allo sguardo e alla presa delle persone comuni.

Il popolo è stanco degli inganni. Stanco degli slogan politici e delle frasi vuote. Stanco di quell’elite che cerca di riconquistarne il voto e non pensa invece prima di riconquistarne i cuori ed il
rispetto. Le discussioni in televisione, ma anche più grave nelle sedi politiche, vertono su temi vuoti, inutili, lontani dai bisogni e dalle necessità concrete dei cittadini. Si celebrano primarie dall’esito scontato. Si tengono congressi auto celebrativi, dove gli iscritti o i delegati di partito non si sentono mai coinvolti e non hanno influenza sulla linea politica.

E le piattaforme online, o i referendum sui temi sociali non fanno molto per coinvolgere i cittadini nel dibattito. Se si aggiungono i continui episodi di corruzione, di malgoverno e di una così scarsa qualità professionale di chi fa politica, non stupisce che cresca sempre di più la disillusione da parte dei cittadini verso la politica.

Io sono Andrea Pasini, un giovane imprenditore e credo che ciò a cui ci troviamo di fronte è dunque ben più grave di una passeggera manifestazione di stanchezza democratica. È il segnale di una crisi che colpisce il cuore stesso della democrazia, che sembra non essere più riconosciuta come un veicolo di cambiamento e di emancipazione sociale. Se la democrazia è un metodo per assumere decisioni collettive che garantisce la partecipazione più ampia possibile degli interessati la nostra può essere ancora definita una democrazia funzionante?

Si obietterà che la democrazia comporta dei limiti e non coincide semplicemente con la volontà della maggioranza. La storia del Novecento ci ha insegnato la pericolosità di declinazioni assolutistiche con le quali è stato possibile alterare le stesse regole su cui si basa il gioco democratico. Oggi servirebbe ripensare a quei vincoli simili a quelli introdotti da Roosevelt dopo la crisi del ’29: vincoli in grado di ristabilire il primato della politica sul mercato e di restituire ai cittadini il potere di decidere quale modello di convivenza vogliono costruire. Servirebbero inoltre istituzioni più rappresentative, in grado di dare voce e visibilità alla pluralità delle opinioni e degli interessi che prendono forma nella società.

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