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Super green pass? Bene i divieti, non la goduria: una lezione a Roberto Speranza

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Non bisogna arrivare al candore con cui il ministro Roberto Speranza dichiarava la propria soddisfazione perché l'epidemia avrebbe permesso alla sinistra di rifondare le ragioni della propria egemonia culturale: è sufficiente fermarsi prima, al tenore apostolico assunto da certuni nell'impartire le direttive rivolte a contenere l'infezione, per capire che si è adoperata questa occasione per ottenere risultati ben ulteriori rispetto a quelli di pura gestione della crisi. 

 

E se questo non basta a giudicare inopportuni tutti i provvedimenti organizzati per affrontare la situazione, basta tuttavia a riconoscere le motivazioni improprie che hanno indotto alcuni a condividerli e a sollecitarne la reiterazione. Per intendersi: si può obbligare a un certo comportamento perché si ritiene che così si risolva un problema; ma si può fare lo stesso per tutt'altro motivo, e cioè perché tramite quell'obbligo si ottiene altro. 

 

Si può vietare alla gente di manifestare perché l'assembramento reca pericolo di contagio, ma si può disporre quel divieto con l'obiettivo di impedire il dissenso. La circostanza non destituisce l'appropriatezza anche delle più rigide misure di contenimento: ma chi pure ritenesse che le imposizioni adunate contro l'epidemia siano necessarie o opportune, dovrebbe considerarne la pericolosità per i fini abusivi di quelli che le adibiscono a strumento delle proprie impostazioni di potere. Si tratta di armi: il fatto che possano essere usate per difendersi, ma anche per intimidire, non è una buona ragione per smettere di usarle; ma è un ottimo motivo per non darle in mano a chiunque.

 

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