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Vittorio Feltri, l'affondo: da classe dirigente a classe degente, i partiti sono morti

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 Vittorio Feltri

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Scorro sempre volentieri gli articoli di Ernesto Galli della Loggia anche se ha un nome troppo lungo che dopo averlo letto sono già affaticato. Scherzo. Ieri mi sono bevuto di un fiato il suo fondo sul Corriere della Sera, che è impossibile non condividere, titolo compreso. Questo: «I partiti nel mare di parole». Nel pezzo l'autore esamina lucidamente la crisi di quella che dovrebbe essere la nostra classe dirigente, che si è trasformata in classe degente, essendo malata di atroce stupidità.

 

 

Vorrei solo aggiungere qualche personale considerazione senza pretendere di chiosare la prosa del professore. Penso che sia inutile criticare la politica che ormai è una scatola vuota da parecchio tempo. Circa trent' anni fa in Italia si respirava un clima di ideologie per quanto moribonde. Erano ancora vive le dispute fra due gruppi molto simili a religioni. C'erano i comunisti residuali e i democristiani che li contrastavano. Vincevano sempre i secondi perché lo scudo crociato era votato in massa da chiunque detestasse la falce e martello. Poi i rossi si sono ammosciati e anche la Dc, privata del nemico storico, si è rammollita al punto da scomparire sotto la guida cimiteriale di Mino Martinazzoli.

 

 

Le dispute elettorali non cessarono grazie all'avvento di Berlusconi, uscito di scena il quale si sono formati partiti magari battaglieri ma privi di programmi, disinteressati al futuro. Praticamente da anni andiamo a votare senza sapere chi. Gli ex comunisti non sono morti, perché la cretineria antica è ancora relativamente attuale, sembra quasi imbattibile. La gente non ha passione per la cosa pubblica finita nelle mani di sprovveduti, tanto è vero che in caso di consultazioni non si reca più neanche ai seggi. La noia ha preso il sopravvento e domina nel Paese.

 

 

Per capire la gravità della depressione basta considerare che nel 2018, quando occorreva rinnovare il parlamento, il popolo disgustato dalla partitocrazia conferì al Movimento 5 stelle la bellezza del 33 per cento dei consensi, sorvolando sul fatto che la creatura sgangherata del comico ligure fosse stata fondata su basi da osteria: il motto grillino non brillava per eleganza, era "vaffanc***". Oggi i pentastellati sono in crisi a causa di insipienza ma ignoriamo a chi vadano le loro vecchie preferenze. La metafora della decadenza dei partiti è questa: nemmeno la volgarità più spinta colma il vuoto che si è creato nella politica per le ragioni accennate. Perfino la Lega creata da Bossi e portata provvisoriamente in alto da Salvini ha perso smalto dopo che si è associata per la seconda volta con la banda di Grillo e addirittura con il Pd, erede spurio del comunismo duro e puro. La situazione generale è talmente grave da non consentire una prossima via d'uscita.

Le consultazioni venture si annunciano male: dalle urne non uscirà una soluzione ma una persecuzione per i connazionali condannati all'incertezza e alla confusione. Nessuno si illuda che la politica guarisca dalla poltronite di cui soffre da quando sono tramontate non solo le ideologie ma anche le idee.

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