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Rating, l'Italia risale dopo 20 anni? Promosso i cittadini, bocciato lo Stato: l'analisi

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Giuliano Zulin
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Nella notte tra venerdì e sabato, mentre le Borse americane chiudevano in rosso e le criptomonete sprofondavano, l'agenzia di rating Fitch - dopo 20 anni - ha promosso l'Italia alzando il rating, il giudizio, del nostro Paese che è passato da "Bbb-" a "Bbb". Siamo lontanissimi dalla tripla "A" tedesca o austriaca, però è un'inversione di tendenza. Secondo la più piccola delle potenti agenzie americane "il Pil italiano crescerà quest' anno del 6,2% e l'anno prossimo del 4,3%". E la forte ripresa economica italiana ha effetto sui conti pubblici con una riduzione del deficit, mentre il debito calerà sotto il 154% del Pil entro la fine del 2021. 

 

In automatico verrebbe da dire che gran parte del merito di questa promozione va al governo Draghi, non tanto per le ricette economiche, ancora tutte da vedere, quanto per il successo della campagna vaccinale. E poi si sa, SuperMario dà fiducia agli investitori, ma soprattutto agli imprenditori. Infatti se i conti pubblici migliorano è merito del Pil. E il fatturato del Paese lo fanno gli imprenditori e i lavoratori. Loro sono i veri artefici della rinascita made in Italy. La nostra economia appare come la più in forma dei grandi della Terra, forse la più solida in Europa. La voglia di investire, di ripartire è dirompente. Gli sbandamenti tedeschi ci aiutano, così come il ritorno delle produzioni nel Vecchio continente. Ancora una volta, le aziende italiane - con l'industria in testa - hanno dimostrato di poter competere e svettare contro chiunque. Nonostante un'organizzazione statale non all'altezza di imprenditori e dipendenti da medaglia d'oro. 

 

Qualche settimana fa Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico, aveva sostenuto che «la pubblica amministrazione è la palla al piede del Paese». Pd e sindacati l'avevano attaccato, peccato che i numeri gli diano ragione. Ieri sono usciti i dati sulla capacità di utilizzo dei fondi europei. Ebbene, siamo al 48%. Peggio di noi solo poche nazioni, tipo la Romania. Il guaio è che gran parte delle energie finanziarie sono state liberate in vista del Pnrr, dei mega finanziamenti europei. Però, mentre la Spagna ha già presentato progetti per ottenere i primi 10 miliardi, il nostro governo è indietro. E i testi non li scrivono di certo i ministri, bensì i dirigenti preposti. Renato Brunetta, ministro della Pa, vorrebbe assumere decine di migliaia di esperti, capaci di scrivere progetti e ottenere i quattrini. Ma non è facile "rubare" cervelli al privato. Il rischio è che i denari del Recovery facciano così la fine dei fondi europei tradizionali: inutilizzati. Però il Pnrr lo ripagheremo fino al 2058 e Draghi se ne andrà a breve... Servirebbe la rivoluzione nella Pa. Ma nessun partito rinuncia ai voti. Per cui rassegnamoci a sprecare ancora. Un'offesa per gli italiani.

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