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Giuseppe Conte prende i soldi e scappa dal voto, Pietro Senaldi: la figuraccia del leader grillino

Pietro Senaldi
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Povero Letta, gli uomini non li capisce proprio. Pensava di poter stare sereno a Palazzo Chigi e Renzi l'ha mandato sette anni in esilio. Ora era convinto di avere un leader di partito come alleato ma ha scoperto che Conte ha paura degli elettori, che è come per un calciatore avere paura della palla o per un nuotatore temere l'acqua. Non c'è da stupirsi. I grillini passeranno alla storia per il reddito di cittadinanza, cioè lo stipendio senza lavoro. È coerente che il loro capo si illuda di poter fare il politico senza prendere mai un voto. La logica è la stessa: il premio come un diritto, a prescindere da qualsiasi impegno o risultato. Il segretario del Pd, nella speranza di comprarselo e assoggettare definitivamente lui e il Movimento, voleva candidare l'avvocato pugliese nel seggio sicuro di Roma Centro, dove la sinistra all'ultimo giro ha preso il 62%. È bastato che Calenda, alla guida di un partito stimato intorno al 3%, lo sfidasse perché Conte, fatti i conti, stabilisse che rischiava la ghirba e piantasse il fugone, lasciando l'amaro Enrico come un mammalucco. Eppure Travaglio e compagni da anni ormai ci dicono che è Giuseppe il più amato dagli italiani.

 

 

 

 

Evidentemente l'interessato è il primo a non credere alla panzana Che figuraccia per la sinistra. Ma si riavrà, da quelle parti sono avvezzi a scivolare sul guano come fosse acqua fresca. Quando l'ineffabile equilibrista si presentò come aspirante capo di M5S, Grillo sentenziò che era «privo di visione politica e capacità manageriali». Lui replicò di «non essere un leader dimezzato né un prestanome». A distanza di sei mesi si può dire che di certo è un parolaio. Ora il Pd, Di Maio, Casalino, Casaleggio, lo Spirito Santo, qualcuno spieghi a Conte che la fortuna non è eterna e non si può vivere solo bluffando. Una congiunzione astrale irripetibile ha voluto che il miracolato di Volturara Appula diventasse due volte premier senza passare dalle urne e capo di un partito senza che di fatto nessuno lo eleggesse. Se vuole continuare a ballare, l'avvocato Giuseppe però ora deve iniziare a muovere le gambe e non solo la lingua. Anche perché, a furia di mulinarla, finisce per mordersela e meritarsi fulminanti frecciate, come quella di Grillo, che meno di tre settimane fa lo definì «campione di penultimatum».

 

 

 

 

Sintesi perfetta dell'uomo, uso a ogni genere di piroetta pur di restare in piedi. Spinti dalla necessità di rinnegare ogni loro principio fondante, i grillini si sono scelti questo leader paravento, che giusto la settimana scorsa ha fatto votare sulla piattaforma pentastellata il via libera ai rimborsi elettorali, che il Movimento ha sempre ritenuto lo sterco del demonio. Prendi i soldi di chi è stato votato e scappa dal voto. Bel colpo per l'avvocato, ma stavolta il bis non gli riuscirà. La sua elezione alle Camere sarebbe necessaria per mantenere compatto il partito, che risponde più a Di Maio che a lui. Tutto può permettersi un leader in questo Parlamento di mezze tacche nominate, eccetto non prendere voti. Se si candida, Conte rischia di perdere, ma se non lo fa ha già perso, e non solo la faccia e il rispetto dei suoi.

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