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Quirinale, il conformismo è diventato una qualità: in Italia, se sei un comunista...

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Iuri Maria Prado
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Da quando la presidenza della Repubblica ha assunto il segno tutelare impresso dalle ultime gestioni, i requisiti per accedere alla carica sono profondamente mutati. Prima si trattava di poter vantare un discreto accreditamento presso il notabilato repubblicano, una carriera da cozza istituzionale attaccata allo scoglio del potere e impassibile alle mareggiate, o la perseveranza del mandarino che batte per cinquant' anni il marciapiede delle burocrazie dell'economia di Stato fino a riceverne la benedizione.

 

Oggi è richiesto altro. Può anche capitare che un ulteriore banchiere finisca lassù, ma perché l'esperimento funzioni a dovere sarà necessario affibbiare alla sua scorza tecnica qualche distintivo legittimante, una prozia partigiana, una nipotessa gay, un diario giovanile contro la logica del profitto, insomma qualcosa che ne attesti il profilo democratico.

 

Perché i requisiti buoni son questi: se sei comunista, hai fatto metà del lavoro; se sei pure conformista (sempre che non voglia dire la stessa cosa), e cioè se sgrani le quattro-cinque fesserie del Buon Progressista, hai fatto bingo. In pratica, ciò che in un Paese appena civile ti manderebbe tutt'al più a far comizi trai piccioni e i pensionati, nei giardinetti, qui da noi è un contrassegno di buona appartenenza, la riprova che si ha titolo per rappresentare la meglio Italia: vale a dire il sistema operativo del 25 aprile e della Costituzione più bella del mondo fatto girare con l'aggiornamento software Fedez-Greta-Zan. Ci sarebbe da vergognarsi, nel poter esibire simili titoli. E invece sono la dotazione necessaria- e, purtroppo, sufficiente- per rappresentare l'unità nazionale.

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