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Che tempo che fa, Fabio Fazio vuole arruolare Papa Francesco? Ma il Pontefice lo perdona: la verità sull'intervista

Alla fine arrivarono le ore 20,40. Si vede il Papa nella sua stanza, a Santa Marta in Vaticano, quietamente seduto. Ma ecco, pur restando lì, nella gabbia delle telecamere, Francesco se n'è uscito subito. Dove se n'è andato, per dove ha viaggiato? Ma no che non si è accomodato nelle spire del conformismo televisivo. Ha accarezzato l'etere, e pure Fabio Fazio, con tutta la sua gentile sarabanda, ma Francesco ha trapassato la trasmissione Che tempo che fa, è andato più in là. Ci ha visitato tutti, ha trovato porte spalancate oppure un pertugio, ma ci è entrato. Aveva qualche cosa di importante da dire. Roba grossa, detta con il suo stile minimo. Non ha annunciato la propria saggezza, non ha messo avanti sé stesso, credo che la sintesi possa definirsi "la tenerezza di Dio". Poi si può analizzare questa o quella frase, vivisezionare un sospiro o uno sguardo, notare che ha nominato Cristo una sola volta, ma l'essenza che comunica è quella lì: il cristianesimo è la scelta di misericordia del divino che si è fatto uomo, e ci fa compagnia. E ci chiede di imitarlo.

«Oggi al primo posto invece è la guerra, i bambini, i poveri, i migranti, la gente vengono dopo. Bisogna toccarli i poveri, bisogna sentire il loro dolore, come Gesù dice nella parabola del buon samaritano. Vedere, toccare, prendersi carico. Rifiutare la cultura dell'indifferenza. I migranti? E'  criminale non accoglierli, dopo quello che hanno passato nei lager in Libia. Ma non possono accoglierli solo la Spagna e l'Italia come accade ora. Tocca all'Europa intera. Occorre una politica migratoria continentale». Il Papa era preso dalla commozione in ogni frase. Toccare-toccare. Gratuità dell'amore verso i figli. Era come se avesse davanti i bambini e i loro padri e madri nel loro gelo senza chi se ne curi. «Alzati fratello». E chi sbaglia? «Ogni uomo se chiede perdono ha diritto di essere perdonato». Alla fine ha insegnato a pregare. «Pregare è imitare i bambini, come loro chiamare il papà». E Dio si commuove per noi e ci ha mandato suo figlio, «il Verbo si è fatto carne».

Confesso: prima che scoccasse quell'ora del suo apparire, ero angosciato. Lo siamo stati in tanti. All'inizio pareva una burla. Non ci si credeva, pareva un "meme", un fotomontaggio di qualcuno che volesse sbeffeggiare il Santo Padre. Ma come? La guerra rotola come un fascio di rovi a Est, i cristiani sono bruciati vivi in India, la Chiesa tedesca mette sotto accusa il Papa emerito senza prove, e il Pontefice si infila nella trasmissione più garrula del pianeta? Ma no, che non può essere vero. Invece era proprio una notizia. Essa stava appesa, sui social e sugli schermi tivù, con i colori e i toni di un manifesto del circo Barnum. E ha fatto sorgere- nei dialoghi sulle chat e nei dialoghi in casa un quesito francamente esagerato: che ne sarà del Papa e del Papato dopo che Francesco ha accettato di esibirsi, dice la Stampa, «dopo Obama e Lady Gaga come una rockstar» da Fabio Fazio? Con parecchia presunzione mi sono preparato - senza neanche il piacere di deglutire birra e sgranocchiare pop-corn, perché il caso è più serio di una finale di Champions - per verificare se il Papa avrebbe superato la prova di essere un buon Vicario di Cristo o se tocchi aspettare il prossimo.

 

 

 

Come se fosse in potere di Fabio Fazio proporre un'ordalia al successore di Pietro e snudare le questioni decisive per consentirci di dare un voto a Bergoglio: Dio c'è o non c'è; questo Papa c'è o ci fa? Non mi sottraggo, faccio parte del mazzo: mea culpa. Chi sono io per giudicare? Il Papa è il Papa. Punto. Ed è Francesco, con il suo modo unico di esserlo. Punto. Benedetto XVI ci aiuta a capire. E a stimare la differenza tra i due. Al suo biografo Peter Seewald ha confessato di stimarlo anche per questo suo "coraggio" di andare in mezzo alla gente: «E' una persona abituata a stare sempre con gli altri. Forse io non sono stato abbastanza in mezzo agli altri, effettivamente». Conviene dividere l'evento - non oso chiamarlo spettacolo - in due tempi. Per restare a mollo nel linguaggio ecclesiastico, che nel caso si presta al gioco di parole, c'è stato un pre-Fazio e poi il momento decisivo della messa (in onda). Per chi non è stato chierichetto, il prefazio è la preghiera che precede la consacrazione del pane e del vino.

 

 

Durante il pre-Fazio alcuni hanno risposto d'impeto. Sarà il coronamento di una missione di banalizzazione del cristianesimo, senza più alcuna aura di sacro e nessun profumo di trascendenza. Francesco rimarrà avvolto dal manto del politicamente corretto che alla fine incarta in deliziosi fiorellini di conformismo gli ospiti di Fabio Fazio, il quale peraltro è un cattolico impegnato e tutt' altro che di etichetta, ma inguaribilmente avvinto come un edera agli stereotipi della sinistra perbenista. Altri erano di avviso opposto. Che cosa serve il sacro se resta lassù? Se non accetta il paragone con gli strumenti dell'umana comunicazione? Aut-aut. 1) Resa al mondo e alle sue seduzioni. 2) Oppure ingresso coraggioso nella nuova Agorà, quando Paolo si presentò ad Atene per annunciare la resurrezione di Dio fatto uomo? Va be', con tutto il rispetto, Fazio non è il cenacolo dei massimi filosofi della galassia, ma è comunque un punto cardine di passaggio dei personaggi-crème del mondo accedemico e culturale delle stanze alte di Repubblica, Liberation, The Guardian, New York Times, Economist eccetera.

Questo era lo stato d'animo durante il prefazio dei cattolici più o meno praticanti, vescovi e preti compresi, ma non solo di costoro, bensì di tutti quelli che magari atei o agnostici non possono non dirsi cristiani- cioè tutti gli italiani. Rinuncia al sacro per consegnarlo ai doppi sensi della Lucianina Littizzetto, una discesa in campo frivolo, alla Lady Gaga, che straccerà l'autorevolezza di quelle bianche vesti chissà per quanto tempo? O sfida ardita e benedetta dove la Chiesa non batte chiodo, a costo di frequentare ambienti fin troppo orientati fazio-samente (Roberto Saviano introducendo l'intervista lo ha definito "l'ultimo socialista"). Ho letto chi segnala, con sarcasmo, il precedente di un Papa che entra come protagonista in uno spettacolo per il godimento del pubblico romano. Capitò a Pietro crocifisso a testa in giù in mezzo a una fiaccolata di cristiani incendiati quali torce. Il rischio sarebbe, stavolta, che ad essere crocifissi siano i cattolici non-adulti da uno scandalo senza rimedio. Eppure io credo che- con tutte le perplessità che suscita l'imprudenza esprima pienamente l'idea di missione di Bergoglio: la Chiesa "in uscita". Non per perdersi ma per abbracciare chi sta fuori e non sa neppure perché. E' lo spirito dei gesuiti: partono, e chi li ferma più.