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Bimba nata a 2 anni dalla morte di papà: un "evviva" con dubbio. Ma è giusto?

Renato Farina
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La notizia è radiosa come le fotografie dove esplode la gioia della mamma. È nata Vittoria dal seme di un morto. Attilio, campione di basket, si schianta in auto, ma la sua donna riesce comunque a dargli una figlia dopo due anni. Che sia felice, e con lei sua mamma Francesca. Punto. Però vado a capo. E oso seminare un dubbio, a costo di turbare i bei sentimenti che un fiocco rosa suscita necessariamente in chiunque abbia un cuore. È giusto che una creatura diventi un esperimento? Che Vittoria sia stata programmata per somigliare a un padre che non c'è più, e in realtà non c'è mai stato, generata senza che Attilio nemmeno abbia detto sì o no, non è forse diventare la cavia per vedere che effetti avrà sulla psiche, sulla sua autocoscienza, diventare la prima italiana nata da chi era morto prima del proprio concepimento? Francamente dico di no. Non possiamo decidere di dare un destino ai nostri figli inviandoli in terre ignote, mai percorse da essere umano, e non per un accadimento della natura, ma andando più in là. In questo caso molto più in là. Non mi interessa qui impancarmi in analisi etiche, annoierei, e cascherei dalla prima impalcatura, ma mi sporgo da un balcone esistenziale.

 

 

 

Qui siamo oltre il senso non della vita, ma della morte. Noi siamo responsabili dei nostri atti fino al momento supremo, ma non è possibile che da morti si sia trattati come zombie costretti a generare ma nello stesso tempo negando una carezza da papà a chi nasce. Ah lo so bene. Ci sono mamme che muoiono di parto, ma resta nella progenie una memoria gloriosa; così conosco chi è nato da un papà che ha fatto l'amore con la futura mamma durante una licenza dalla guerra, da cui non tornò. Qui è diverso: si programma la non esistenza del padre. È la prima cosa che ho pensato, insieme all'augurio di lieta vita, leggendo la notizia. Questa vicenda sancisce ufficialmente, con tutto il suo carico di sentimenti popolari e (quasi) unanimi che suscita, la proclamazione dell'inutilità del padre, la sua riduzione a fuco destinato a crepare senza neppure congiungersi con l'ape regina. Non solo è la morte definitiva del padre inteso come educatore, optional gradito ma non indispensabile, ma della stessa famiglia. La famiglia non c'è bisogno di immaginarla come quella sacra che sistemiamo nel presepe, ma laica, pagana, orecrustiana - ha sempre avuto questo carattere di due che generano ed educano un frutto del loro amore carnale. Forse solo nella Repubblica di Platone - ahimè - e in qualche opera di socialisti utopisti si immaginava un mondo in cui fosse abrogato il padre con un nome, e un sorriso speciale proprio per te.

 

 

 

IL POTERE DELLA SCIENZA

Con tutto questo, non ho alcun diritto di puntare il dito contro una signora che ha fatto quel che ha potuto per conservare nel suo cuore, e non in un catafalco, l'immagine del proprio amato. Quel che è sbagliato è la concezione che sta dietro tutto questo e invade ormai la mentalità di tutti noi: è l'imperativo tecnologico. Per cui il si-può-fare di Frankenstein jr diventa un tragico si-deve-fare. Perché se non lo fai vuol dire che non ami abbastanza, che non sei disposta a offrire il tuo corpo pur di perpetuare quei begli occhi del tuo compagno di sogni svaniti in un incidente stradale. La scienza che si presenta a una ragazza e le dice di essere più forte della morte. Di certo un sentimento di profonda affezione, di desiderio di eternare il ricordo dell'amato, ha mosso la scelta di Francesca. Possiamo trovare parole poetiche. E Francesca e Vittoria se le meritano: un atto d'amore postumo, una promessa mantenuta a costo di forzare il destino crudele, un misterioso fiore sulla tomba del proprio compagno che finalmente riposa felice avendo perpetuato la propria progenie. Grazie alle tecnologie del freddo, alle macchine idonee all'impianto nell'utero, quell'amore per un defunto è diventato una bambina. Ma è umano programmarla senza padre, non le è stato tolto qualcosa di essenziale? Tutto il mondo intorno dice di no, e che è importante che Vittoria viva. Guardiamo la vicenda da un punto di vista più ampio, persino apocalitticamente non tanto inverosimile. Queste tecnologie per giustificarsi davanti al popolo hanno bisogno sempre di una storia commovente come questa. Ma a me viene in mente il titolo che La Repubblica diretta da Eugenio Scalfari dedicò alla nascita, 44 anni fa, di Louise Brown, la prima creatura nata dagli stregoni della tecnica: «Piacerebbe anche a Hitler questa fecondazione».

 

 

 

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