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Ucraina, il sospetto di Pietro Senaldi su Joe Biden: "Sicuri che sia Putin a volere la guerra?"

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Pietro Senaldi
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Certo che la democrazia è preferibile alla dittatura e che, rispetto alla Siberia, a tutti noi perfino il New Mexico parrebbe l'eden. Ancora più vero è che siamo stati molto bene, accucciati per settant'anni sotto l'ombrello americano, mentre metà Europa era ridotta a vassalla dell'Unione Sovietica. Ma questo non c'entra assolutamente nulla con quello che sta accadendo in Ucraina, dove si pensava che Putin preparasse la guerra per avere la pace e ora invece chissà mentre gli Stati Uniti non disdegnerebbero un conflitto lontano e che non li impegni direttamente pur di mantenere la quiete in casa propria, guarire l'emorragia di consensi del presidente Biden e arricchirsi con il caro bollette e una bella pompata all'industria bellica. Washington è ancora paladina delle libertà nel mondo ma, come ha dimostrato la ritirata da Kabul, nei fatti non è più disposta a pagare il prezzo di questa sua supremazia morale. Per questo forza l'alleato europeo affinché minacci sanzioni che impoverirebbero gli Stati Ue ma non gli Stati Uniti e ci costringerebbero a metterci in fila per comprare materie prime rincarate oltre Oceano. Questa non è una questione di ideali, ma di opportunità e pragmatismo. Non è il momento della propaganda bensì della strategia, parola sconosciuta a Bruxelles, a meno che non si tratti di banche e mercati. Gli Usa non lo hanno ancora capito bene, anche e soprattutto per colpa del Nobel per la Pace, Barack Obama - perché già il vituperato Donald Trump aveva le idee più chiare-, e il fatto che il Paese guida dell'Occidente sbagli ancora a individuare il principale nemico danneggia tutti quanti.

 

 

 

La crisi ucraina parte da lontano, dalla pretesa di piazzare basi Nato al confine russo senza neppure ipotizzare la scontata reazione di Mosca e illudendo Kiev senza mai considerare di difenderla sul serio qualora la situazione precipitasse. La Cina è il convitato di pietra della crisi ucraina, pronta a misurare i rapporti di forza e trarre profitto per sé. Se Putin entrerà a Kiev, l'Occidente dimostrerà il proprio velleitarismo e poco dopo Pechino si riannetterà Taiwan. Se Mosca verrà sconfitta diplomaticamente, Usa e Ue la regaleranno per sempre alla sfera d'influenza di Xi Jinping. La strategia di Mosca, è parere pressoché unanime degli analisti europei, è quella di mantenere una situazione di tensione permanente, senza sferrare un attacco decisivo, nella speranza di ottenere nero su bianco l'impegno della Nato a non aprire all'Ucraina e di prendersi una parte della regione del Donbass e vedersi riconosciuta l'annessione della Crimea, datata 2014. Putin ha capito che il mondo non è più diviso in due e vuole aumentare l'influenza di Mosca nelle aree che appartennero all'Urss ma anche, approfittando della latitanza di Ue e Usa e degli errori strategici obamiani con l'Isis e la Libia, estenderla nel Mediterraneo Orientale e Meridionale. Joe Biden è arroccato nella tattica dell'armiamoci e partite: si oppone ma vorrebbe che gli alleati europei combattessero per lui. Non ci venga a raccontare, il presidente Usa, di essere mosso da ideali. Semplicemente, intende impedire l'avvicinamento e il respirare insieme, che è invece nelle cose, dei due polmoni d'Europa, Ue e Russia. Tutto spinge a stringere patti d'amicizia tra loro. L'economia, la cultura, la complementarietà tra la formidabile capacità manufatturiera di Germania e Italia e una Russia ricchissima di materie prime dettano la strada di un futuro pacifico e prospero. Non è pragmatismo cinico augurarsi una stabilizzazione dell'Est e un equo accordo con Kiev senza imbracciare le armi e massacrarci economicamente con sanzioni che rovinerebbero l'Europa, ma lungimiranza. Il mondo non è più diviso in due blocchi, Stelle e Strisce contro Falce e Martello. È la Cina la minaccia alla pace e al benessere globale, Kruscev e Breznev sono preistoria.

 

 

 

EUROPA IMBELLE

Ottant'anni fa il fronte ucraino decise le sorti del mondo per quasi un secolo. Oggi è una crisi buona a dimostrare che l'Europa è incapace di organizzarsi e debole. Alle sdegnate dichiarazioni a petto in fuori non faremo seguire granché. Abbiamo bisogno di avere buoni rapporti con tutti e per questo ci offriamo da indesiderati mediatori, ma finora il risultato è che abbiamo compromesso le relazioni con Putin senza riuscire a ripristinarne di serie con gli Stati Uniti. La Ue è imbelle perché è divisa e, specie la sua nazione guida, la Germania, non vuole rompere con Mosca, perché perderebbe il suo maggiore fornitore energetico. Una crisi costerebbe molto cara anche all'Italia. Senza esercito né unità politica e con una pressoché totale dipendenza energetica, l'Europa può giusto combattere la guerra dei bottoni. Ma la cosa che più le fa difetto non sono i denari o le armate, bensì la visione. 

 

 

 

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