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Giustizia, il "no" della sinistra al referendum? In ginocchio dalle toghe: cosa c'è dietro, davvero

Iuri Maria Prado
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Per quanto, alla fine, un manettaro resti un manettaro, e per quanto le manette restino poco simpatiche a prescindere dal fatto che ad agitarle sia uno di destra o uno di sinistra, c'è una differenza notevole tra le ragioni che spingono l'uno e l'altro a mantenere così com' è il regime della custodia cautelare: cioè il carcere prima del processo (il quale, una volta su due, porta a concludere che il carcerato era innocente).

 

 

E la differenza notevole è che, a destra, le manette e la galera, quando piacciono (il che accade abbastanza spesso), piacciono perché si ritiene che siano il modo giusto per tenere in ordine la società e per garantire soddisfacenti livelli sicuritari, mentre quando piacciono a sinistra (il che accade anche più spesso), piacciono perché ai magistrati dispiace l'idea di poter mettere meno manette e di arrestare meno facilmente. Lo schieramento di sinistra in avversione al referendum che mira a limitare il ricorso alla prigione preventiva ha primariamente quel senso e quella funzione: di non dispiacere alla magistratura, piuttosto che per la convinzione, invece coltivata da una parte della destra, che quel rigore penale sia cosa buona e giusta in sé. Sbagliano entrambi, almeno in ottica liberale? Sì, sbagliano entrambi.

 

 

Ma sbagliano per ragioni diverse, anche se con risultati uguali. Solo che sulle convinzioni sbagliate è ancora possibile intervenire, provando almeno a spiegare che il carcere preventivo dovrebbe essere riservato a casi di pericolo e allarme sociale che davvero impongono quella scelta. Mentre non c'è proprio nulla da spiegare a chi si oppone a una riforma purchessia in argomento di giustizia per compiacere la piovra togata

 

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