Le conseguenze

Ucraina, l'invasione è la fine dell'utopia ecologista: a pagare il conto delle follie saremo noi italiani

Fausto Carioti

L'unico pregio delle guerre è che costringono a vedere il mondo non come ci piacerebbe che fosse, ma per quello che è: un posto in cui le risorse sono scarse e chi ha un potere di ricatto prima o poi lo usa per piegare il prossimo. Lo sapevano bene i «padri dell'Europa» con i quali tutti si riempiono la bocca, ma il cui insegnamento più importante è stato sepolto dall'utopia verde, che prima ha affascinato le masse e poi è stata adottata dalle élite in cerca di facili consensi. Nel 1957 la Guerra era un ricordo fresco e c'era un'idea molto chiara di ciò che deve fare uno Stato per essere sovrano: senza indipendenza energetica non può esserci indipendenza politica. Nacque così il trattato strategicamente più importante, nonché il primo a essere dimenticato: quello che fece nascere la Comunità europea dell'energia atomica, l'Euratom. Per l'Italia, le firme di Antonio Segni, presidente del consiglio, e Gaetano Martino, ministro degli Esteri, accanto a quelle dei loro omologhi di Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Olanda. Il nucleare era «la risorsa essenziale che assicurerà lo sviluppo e il rinnovo delle produzioni e permetterà il progresso delle opere di pace». E siccome i costi degli investimenti in ricerca, sicurezza, tecnologie e approvvigionamenti sarebbero stati troppo alti per un singolo Paese, le sei nazioni si impegnavano ad affrontarli insieme. Una "comunità", appunto.

 

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Quei 234 articoli sono rimasti lettera morta. Il trattato è ancora in vigore, ma nessuno ne parla più: è stato schiacciato dall'accordo parallelo, quello per la creazione del mercato comune. L'indipendenza energetica ha smesso da tempo di essere una priorità. La collaborazione tra Stati europei per l'«atomo di pace» è diventata accademica, ognuno è andato per la propria strada. La Francia oggi ricava dalla fissione il 70% dei chilowattora che produce e può permettersi di essere il primo esportatore mondiale di elettricità. Il suo cliente principale è l'Italia, che nel frattempo ha cancellato la propria filiera nucleare, per anni la più avanzata del continente. L'energia atomica non unisce, divide: i governi litigano al loro interno e tra loro sull'opportunità di considerarla una «fonte verde». Il combustibile più usato, in Italia e in Europa, è diventato il gas: brucia bene, inquina poco e non alimenta facili isterie che trovano politici sempre pronti a cavalcarle. Soprattutto se, anziché estrarlo dal sottosuolo nazionale e litigare con i comitati degli ecologisti che vedono nelle trivelle le trombe dell'Apocalisse, lo si compra da chi ne ha tanto ed è felice di venderlo.

 

 

Così oggi il gas rappresenta il 43% delle fonti energetiche primarie italiane, e il 95% di quello che usiamo è importato, e il 43% di queste importazioni viene dalla Russia. Gli altri non stanno meglio: proviene da Mosca, in media, il 50% del gas che l'Europa importa da oltre i suoi confini. Ora ci è stato presentato il conto di tutte queste scelte: energetico, economico, politico e militare. Vladimir Putin invade l'Ucraina e ricatta i Paesi europei con la dipendenza dal suo gas, rispondergli chiudendo il rubinetto farebbe più male a noi che a lui e, grazie alla guerra da lui stesso scatenata, il prezzo del metano che ci vende è salito ancora, raggiungendo ieri i 134 euro per megawattora. Sotto il suolo italiano, intanto, giacciono 200 miliardi di metri cubi di gas che ci costerebbero meno di 2 euro per megawattora: ma restano lì, intoccabili, perché gli svalvolati della decrescita felice sono il primo partito del parlamento. Non siamo politicamente indipendenti e paghiamo bollette care, carissime per non esserlo.