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Roman Abramovich, addio Chelsea? Alessandro Sallusti: depistaggio concordato col Cremlino o un "gol" dell'Occidente?

Alessandro Sallusti
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Noi italiani dobbiamo stare attenti, è uno dei tanti nostri vizi, a trasformare anche questa volta la tragedia in farsa come è successo ieri con il tentativo dell'Università Bicocca di Milano di annullare una lezione su Dostoevskij, il grande romanziere e pensatore vissuto nell'Ottocento che non è patrimonio della Russia di Pu tin ma dell'umanità intera. E dobbiamo stare pure attenti a non confondere i due piani della crisi in Ucraina. Un conto è la battaglia su campo, il cui esito è scontato fin dall'inizio, che deve finire il prima possibile a qualsiasi costo e condizione, anche quella di poter far dire già oggi, al termine del secondo incontro di trattativa col nemico, a Putin "abbiamo vinto noi". 

 

 

Altro è tenere il punto sul fatto che da una settimana Putin e la sua corte non fanno più fare parte della comunità civile internazionale e mai più potranno tornare ad esserlo né dentro né fuori i loro confini. Il fatto che il magnate amico suo, Roman Abramovich - uno degli uomini più ricchi e potenti al mondo - ieri ha annunciato di vendere la squadra di calcio inglese del Chelsea e di destinare il ricavato alle famiglie degli ucraini vittime dell'aggressione è un indizio che va oltre il fatto di cronaca. È possibile, in teoria, che quello di Abramovich sia un depistaggio magari concordato con il Cremlino. 

 

 

Ma se fosse una decisione sincera, se cioè il magnate avesse deciso di fare da capofila ai tanti russi che tra Putin e vivere nel mondo scelgono e sceglieranno la seconda ipotesi, ecco che l'Occidente libero segna un primo importante punto a suo favore. L'accerchiamento economico e sociale alla Russia di Putin deve essere determinato e ferreo quanto lo è in queste ore quello dei soldati russi alle città ucraine. Se oggi il presidente ucraino accetterà una tregua e se anche questa tregua fosse umiliante, avrà tutta la nostra comprensione perché il suo compito è di evitare un inutile massacro del suo popolo visto che nessuno in armi può andare a difendere quelle donne e quei bambini pena lo scoppio di una nuova guerra mondiale. Zelensky deve però sapere che per noi la guerra, non a Dostoevskij ma a Putin, non finirà né oggi né mai.

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