Meglio vergognarsi

Gianni Riotta, Filippo Facci lo demolisce: "La lista nera dei putiniani d'Italia? Porcheria per cui passerà alla storia"

Filippo Facci


Riassunto con aggiornamenti: qualche giorno fa il giornalista Gianni Riotta, che merita tutto il biasimo umano e professionale del caso, ha pubblicato su Repubblica un'odiosa, pasticciata e dolosamente infame lista di proscrizione dei «putiniani d'Italia», intesa come una porcheria - con foto e ridicoli addebiti fatta per associare le persone antipatiche a Riotta all'attuale Putin guerrafondaio, quindi per mescolare, nell'insieme, una macedonia professionalmente vergognosa di cui qualche dettaglio tuttavia non ci era ancora noto. E ora ve lo esponiamo. L'articolo di Riotta, per cominciare, ha copiato parzialmente, deformandolo, un articolo pubblicato sul sito Linkiesta e si è inventato, Riotta, il neologismo tedesco «Putinversteher» che indicherebbe «chi si intende con Putin» ma che è un termine che semplicemente non esiste: è la personale traduzione di Riotta di «Russlandversteher», espressione adottata da un vecchio studio della Columbia University di New York (vecchio nel senso di ante-guerra, e che parlava di tutt' altro) e titolato «Russian Active Measures Yesterday, Today and Tomorrow»; dopodiché Riotta ha fatto finta di aver consultato questo studio della Columbia University, come se fosse una primizia, ma in realtà non l'ha neppure letto: questo lo assicurano a Libero gli stessi autori dello studio («Paper») dell'università newyorchese, spiegando peraltro che Riotta ha sbagliato persino a scrivere il cognome di uno degli autori (che si chiama De Pasquale e non Di Pasquale) e specificando, poi, che Riotta ha ambiguamente infilato nella sua lista anche gente che nello studio universitario (e nell'articolo de Linkiesta scritto da Marcello Stefanini) neppure comparivano: è tutta farina sua, di Riotta. Esempi: Barbara Spinelli, Laura Boldrini, Stefano Fassina e Giorgia Meloni: è tutta gente che probabilmente a Riotta sta solo sulle palle.

 

 



VENTI DI GUERRA - Poi. Lo studio statunitense è stato pubblicato sui social nel marzo 2021 (in lingua inglese, che Riotta conosce sicuramente meglio di quella italiana: non è un complimento) ed è stato tradotto nella nostra lingua nel settembre scorso, sempre disponibile sui social: questo assai prima di qualsiasi vento di guerra e comunque con modalità che potete andarvi a leggere direttamente al link (https://fondazionegermani.org/?p=1904) e vi faranno apprendere che trattasi di uno studio serio e titolato «L'influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think thank italiani» e che corrisponde a un'analisi storica che parte dal periodo mussoliniano e parla di tutto, di molte cose, ma sicuramente non degli attuali dementi filo-putiniani che Riotta ha mischiato a gente tranquilla o magari anche meno tranquilla: ma sicuramente non guerrafondaia e filo-putiniana da segnalare in un «identikit» (titolo di Repubblica) da additare alla pubblica vigilanza. Ergo, è così che Riotta è riuscito ad associare Claudio Mutti (editore del fascio-putinista Aleksandr Dugin) a Barbara Spinelli, «ex analista filo nato» colpevole di aver scritto un commento «rilanciato sui social dall'ambasciata russa a Roma»; è così che ha mischiato il giurista «No Green Pass» Ugo Mattei (e chi è?) all'importantissimo «filosofo rossobruno Diego Fusaro» e poi, con salto triplo con doppio avvitamento carpiato, a Sergio romano, che banalmente scrisse la prefazione di un libro di Edvard Lucas sulla nuova guerra fredda, e ancora a Massimo Cacciari, reo di aver rilasciato un'intervista al Piccolo di Trieste nel 2014 in cui parlava dell'annessione russa della Crimea. Tralasciamo altri, compresi ex collaboratori di Repubblica, e tacciamo del sorprendente omesso controllo di una persona seria come il direttore di Repubblica Maurizio Molinari. Segnaliamo solo l'eccesso di sintesi di Massimo Cacciari su Riotta («è un idiota») e l'abile primato professionale, quello sì, nel promuovere se stesso e uno specialistico accumulo di poltrone legato a relazioni personali e non certo a meriti sul campo: nessuno ricorda memorabili articoli di Riotta, però qualcuno magari ricorda la sua amicizia con Emma Marcegaglia di Confindustria prima che la medesima lo nominasse direttore del Sole 24 ore, e prima che lo stesso quotidiano registrasse, con la sua direzione, il record negativo delle vendite.

 

 

 


TASK FORCE - Da segnalare, ancora, che Riotta si è autodefinito «tra i top influencer internazionali più noti» e che uno come lui insegna giornalismo all'università Luiss di Milano (da direttore) e che, ancora più incredibilmente, Riotta è persino riuscito a infilarsi in questi giorni nell'attuale e neonata Task Force sulla guerra in Ucraina (rappresentante per l'Italia) creata per monitorare la disinformazione, cioè per monitorare, anzitutto, se stesso e gli articoli come i suoi. Finito? Quasi. Rimane lo spazio per ricordare che il premio pulitzer Glenn Greenwald (già noto per alcuni servizi sulle rivelazioni di Edward Snowden su alcuni servizi di sorveglianza statunitensi) definì Gianni Riotta «il contrario del giornalismo» per via di un editoriale che Riotta scrisse nel 2013 sulla Stampa. Per la storia, Glenn Greenwald resterà il giornalista del Guardian che ha fatto scoppiare il caso Datagate, mentre Gianni Riotta - salvo nuove mirabolanti imprese - resterà quello delle liste di proscrizione che sintetizzano il livello attuale del giornalismo italiano. Lezione del giorno: se domattina un sito di nazisklinlinkerà un articolo di Riotta, Riotta sarà un filo-nazista. Lezione di sempre: di queste cose, non altre, dovrebbe occuparsi un vero Ordine dei giornalisti, in un Paese dove le percussive relazioni di Riotta, provinciale cronico, non fanno invece che procurargli premietti e premiolini buoni da appoggiarsi su qualche bacheca della nativa Palermo. Ps: occhio oggi a non comprare l'insalata russa al supermercato, che Riotta vi segnala. Infine, refuso volontario: al tramonto, se non è nuvolo, il sole è russo. No, così, per farci catalogare anche noi.