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Ucraina, così il conflitto alle porte dell'Europa riporta in vita l'antiamericanismo

Corrado Ocone
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Non pochi intellettuali di sinistra impegnati in questi giorni, con ragionamenti alquanto contorti, sul fronte di un pacifismo "senza se e senza ma" avevano più volte in passato espresso un europeismo altrettanto acritico. Un nome su tutti: Donatella Di Cesare. Non si tratta di uno dei tanti cortocircuiti a cui il pensiero fazioso e ideologico della sinistra ci ha abituato. In questo caso, c'è un filo rosso che collega le due posizioni, anche se non è quasi mai esplicitato. Uno dei pochi luoghi in cui lo fu può forse esserci di aiuto anche per capire l'oggi.

Dobbiamo andare indietro di quasi venti anni, precisamente alla primavera del 2003, alla contrastata scelta di George Bush di muovere guerra all'Iraq. In quel frangente i governi europei si spaccarono: ci fu chi, come il nostro (leader era Berlusconi) e quelli di Spagna e Gran Bretagna, rispose positivamente all'appello; e chi, come i franco-tedeschi, decise di non supportare le richieste del presidente americano. Le piazze europee furono invase dai soliti pacifisti tardo-sessantottini. Fu allora che due filosofi molto diversi fra loro, ma entrambi di sinistra, il tedesco Habermas e il francese Derrida, dopo aver sancito una sorta di "pace intellettuale" fra le tradizioni di pensiero che rappresentavano, presero carta e penna e scrissero che sulla spinta della piazza era nata finalmente l'Europa. Furono loro stessi a spiegare di quale Europa si trattasse: l'Unione avrebbe avuto un senso se e solo se si fosse allontanata dall'America, cioè da una concezione a loro dire militarista ed imperialista delle relazioni internazionali.

La nuova Europa, che per loro doveva comprendere anche la Turchia, si sarebbe contraddistinta non per una identità culturale particolare ma per il rispetto di semplici procedure burocratiche. E si sarebbe costruita su due assi portanti: il soft power, appunto, e il welfare state. Se poi l'uno e l'altro si siano potuti realizzare, nel secondo dopoguerra, grazie all'ombrello della Nato, e quindi sotto la protezione dell'America, erano elementi che i due filosofi, presi dal loro idealismo, non ritenevano degni di essere considerati. Non mi sembra di fare troppi salti logici se dico che quell'idea di Europa negli anni a seguire non solo ha influenzato la più parte della cultura mainstream, ma ha anche ispirato le classi dirigenti del continente. 

Con il risultato di esserci poi dovuti risvegliare all'improvviso con la guerra alle porte di casa, accorgendoci di essere non solo disarmati ma anche economicamente (e energeticamente) dipendenti da Russia e Cina. Ancora una volta abbiamo dovuto fare appello alla Nato (che è "rinata" dopo che l'attuale presidente francese l'aveva definita solo tre anni fa "in coma cerebrale" ed inutile) e agli Stati Uniti. Certamente molti degli intellettuali pacifisti di questi giorni, a cominciare dalla Di Cesare, farebbero fatica a definirsi "putiniani", ma non è dubbio che l'antiamericanismo e l'antiliberalismo che, nel profondo, li anima sogni un Europa disarmata che ci consegnerebbe mani e piedi alla Russia o ad altre autocrazie. Passata la buriana, è probabile che il partito degli europeisti antiamericani, seppur contraddetto dalla storia, riprenda vigore. Ho l'impressione che la battaglia fra chi vuole un'Europa liberale e saldamente ancorata alla tradizione atlantica e occidentale e chi invece la vuole disarmata e senza identità culturali, "sostenibile" ma con il benessere raggiunto, socialisteggiante, sarà la faglia su cui in futuro ci si dividerà.

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