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Ucraina, il paradosso dei pacifisti: dicono di essere isolati ma sono onnipresenti. Il mondo alla rovescia

Iuri Maria Prado
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Tra le bellezze del mondo capovolto c'è il pacifismo che lamenta a reti unificate il proprio triste isolamento e denuncia la ferocia esclusiva del fronte avverso. Uno, quello per cui bisogna dare le sanzioni misurate sul numero di bimbi maciullati (donne incinte o pensionati, niente: lì basta la contravvenzione al carro che li ha schiacciati), se lo contendono come neanche Cacciari in tanga.

 

 

L'altro, quello che a Bucha erano tutti dell'Actors Studio, il giorno dopo non te lo ritrovi nell'indifferenziato da portare via, ma nel dibattito che insomma, d'accordo, magari non è proprio così, ma ci vuole il pluralismo dell'informazione e bisogna dare spazio a tutte le voci (tranne a quella che gli dà di stronzo, però, perché ci vuole rispetto per ognuno). E così quell'altra, quella che 'sti ucraini che chiedono le armi (testuale, eh) «vogliono estendere il conflitto»: Di Cesare Donatella, filosofessa e neo-influencer del giornalismo che raffigura Zelensky con il braccio fasciato di svastica.

 

 

È tutto pacifismo che nessuno ostracizzava - perché non c'era quando centocinquantamila soldati russi si ammassavano sui confini ucraini. Ed è pacifismo che intollerabilmente dispone solo di ventitré ore e cinquantanove minuti al giorno per dire dove può, cioè ovunque, che bisogna fermare gli ucraini - razza di egoisti irresponsabili - che ci portano la guerra in Europa. 

 

 

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