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Centrodestra, punti comuni e programma: la ricetta per ripartire (ed evitare il rischio della paralisi)

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Corrado Ocone
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Ci risiamo. Dopo il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, il mantra di un centrodestra italiano diviso torna a dominare le analisi della stampa mainstream. Il sottinteso, a volte esplicito altre meno, è che fra un anno, quando si voterà anche da noi, se gli italiani dovessero scegliere, come è altamente probabile, quella parte politica, il rischio della instabilità e della paralisi sarebbe molto concreto. Che poi l'alleanza di centrosinistra abbia ben più grossi problemi, e che alla prova dei fatti sia proprio il Movimento Cinque Stelle la forza politica più inaffidabile, questo gli editorialisti finto-indipendenti lo tengono nascosto o lo dicono in modo sommesso. 

C'è forse un unico modo per dissipare da subito ogni dubbio che potrebbe sorgere nell'elettore moderato tipo, ad esempio in chi, pur non amando la sinistra, a volte la sceglie "turandosi il naso" temendo che un suo voto a destra possa essere un voto inutile: non nascondere la polvere sotto il tappeto ma prendere di petto la questione. Un modo per farlo potrebbe essere quello di rispolverare un vecchio arnese filosofico, il cosiddetto "consenso per intersezione", teorizzato qualche decennio fa dal filosofo americano John Rawls. Mi spiego.

Sicuramente fra Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia su diverse questioni oggi non c'è accordo, ed anzi si crea o un perfetto disallineamento (come è successo nel caso del giudizio sul risultato francese) oppure una geometria variabile per cui ognuna delle tre forze politiche si trova alleata di volta in volta con l'una piuttosto che con l'altra. Ed altrettanto sicuramente il realismo politico porta a dire che ognuno tenderà in campagna elettorale ad esaltare queste differenze in senso identitario, e quindi in qualche modo centripeto. 

Che fare? La proposta è di non contrastare del tutto questa tendenza, che potrebbe anche essere una ricchezza o una risorsa, ma di lavorare anche, tutti insieme, su un altro tavolo, individuando quei punti su cui i partiti della coalizione non possono non convergere per il semplice fatto di essere di destra. Penso alla difesa della proprietà, anche e soprattutto quella della casa; a una tassazione non punitiva per chi lavora e produce; alla difesa della famiglia intesa come elemento naturale di coesione sociale; alla difesa della vita in tutti i suoi aspetti; a un europeismo forte ma che non sacrifici le specificità nazionali sull'altare di una costruzione burocratica ed ideologica quale è oggi l'Unione Europea. E tanto altro ancora. 

Questi punti sono più che sufficienti a costruire un incisivo programma politico da presentare agli elettori il prima possibile. Benedetto Croce diceva che i programmi politici son fatti per essere disattesi, e non c'è dubbio che la realtà esterna possa creare strada facendo emergenze non preventivabili e stabilire quindi altre priorità. Presentare però un programma comune agli elettori avrebbe un significato politico immediato di rassicurazione e metterebbe a tacere quella sinistra che, pur non riuscendo a entrare in sintonia con la più parte degli italiani, pretende di governare in nome della presunta inaffidabilità e inconcludenza di una destra politica che tende a presentare come litigiosa, divisa e "pericolosa".

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