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Pronti a tutto contro Giorgia Meloni: la sinistra a caccia di fascisti in trattoria

 Giorgia Meloni

Giovanni Sallusti
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Ho una confessione da fare alla cupola dell'eno-gastronomicamente corretto, presieduta dall'impavido segugio di Domani Nello Trocchia, e sono sicuro di essere in buona compagnia a Libero (ma qui parlo per me, non voglio compromettere nessun collega col marchio dell'onta). Sono stato, più volte, nel ristorante maledetto, la cellula dormiente del ricostituendo Partito Nazionale Fascista, che il temerario Trocchia ha smascherato sul quotidiano debenedettiano. Sì, intendo proprio il Ristorante da Oscar, a un tiro di schioppo (non dico di moschetto per non peggiorare la mia situazione) da Porta Venezia. Il "locale dei nostalgici del Duce", c'informava ieri il cacciatore di scoop. Ma io, davvero, non mi ero mai accorto che i giornalisti (non solo di questa reietta redazione, ma anche per esempio del precedente quotidiano debenedettiano, Repubblica), politici, assessori comunali e regionali, presentatori televisivi, attori, perfino avventori per loro fortuna in possesso di un lavoro vero che incrociavi abitualmente da Oscar fossero tutti dei novelli Farinacci, dei manganellatori compulsivi.

 

 

 

Invece, dopo giorni di appostamenti e coltivazione di fonti riservate (il tabaccaio all'angolo, il fiorista di fronte), il reporter di Domani è riuscito là dove hanno fallito gli altri taccuini del mainstream: stanare la sostanza mussoliniana nascosta sotto il tappeto della conferenza programmatica di Fratelli d'Italia. "C'è una foto che crea imbarazzo e racconta le divisioni nel partito di Giorgia Meloni", attacca sferzante Trocchia. Si vedono il coordinatore napoletano del partito Sergio Rastrelli ("figlio di Antonio primo ex missino presidente della Campania", ché la catena nera della colpa attraversa sempre le generazioni) e altri dirigenti attovagliati al ristorante incriminato. "L'immagine ritrae una tradizionale cotoletta milanese con tanto di elogio agli chef locali", riferisce il cronista d'assalto cui non sfugge nessun dettaglio: già un indizio di reazionario sovranismo alimentare, nemico delle magnifiche sorti e progressive assicurate dalla cucina multiculti, tendenzialmente vegana. Ma è solo l'inizio: in mezzo a scritte controintuitive come "L'Italia agli italiani", il titolare offre ad alcuni meloniani partenopei (come a tutti gli altri clienti, evidentemente selezionati per preferenze etilico-cameratesche) "bottiglie con il testone del duce, il vino rosso "nero" di Predappio", mentre "ai muri ci sono calendari, omaggi alla Folgore e foto con il saluto romano". Tutte prove evidenti della coincidenza tra l'agenda di Giorgia Meloni e quella della Repubblica Sociale, certo.

 

 

 

Eppure, non vorremmo sminuire il Watergate gastronomico cucinato da Nello Trocchia Giornalista (così si chiama la pagina Facebook, corporazione e persona coincidono, applicando la sua logica verrebbe da dire con riflesso un po' nostalgico), ma il quadretto non rappresenta una notizia, per nessun milanese. Come dice lo stesso Oscar, un istrione fintamente bisbetico incapace di fare del male a una mosca, è 40 anni che chi entra s' imbatte nella suddetta scenografia. Come d'altronde non è difficile, in certe trattorie emiliane da piccolo mondo guareschiano, ritrovare tutt' ora falci, martelli e perfino l'iconografia di Baffone, non esattamente un sincero liberale. Si chiama goliardia (malriposta quanto volete), memoria novecentesca che diventa folklore post-ideologico (contraddittorio quanto volete), fin arbitraria scelta di marketing di un privato (una cosa non totalmente irrilevante nelle società libere). Se è il massimo di flagranza fascista che l'Inviato Collettivo ha scovato nella grande mobilitazione della stampa democratica (cioè filopiddina) sulla tre giorni milanese, è la prova provata che Giorgia Meloni può stare tranquilla. Quanto al trascurabile sottoscritto, condannatelo pure, ma concedetegli un'ultima "milanese" vera. La bella morte culinaria, ovviamente da Oscar. 

 

 

 

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