La testimonianza
Non è l'Arena, cosa è successo tra Massimo Giletti e gli agenti di Putin: il retroscena di Sallusti
Questo giornale si chiama Libero non a caso. Nel suo nome, scelto oltre vent’anni fa non a caso da Vittorio Feltri, è rinchiuso il nostro dna: liberi, anche di sbagliare, a volte pure di spararle grosse e chi più di voi lettori ben sa quante volte ciò sia successo. Ma abbiamo un paletto: la libertà di pensiero presuppone un pensiero che è cosa diversa dalla propaganda, dalla quale ci teniamo ben lontani, che per definizione non solo è la negazione della libertà di espressione ma è pure a pagamento, nulla quindi a che fare con l’informazione.
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Lei dee sono naturalmente di parte, altrimenti ci troveremmo in un regime di pensiero unico che è esattamente ciò che noi combattiamo. Ognuno di noi ha le sue, ci confrontiamo con chiunque la pensi diversamente da noi ma non per questo siamo disponibili a farci prendere per i fondelli come provano a fare regolarmente i prezzolati di Putin che imperversano sulle nostre televisioni. Li riconosciamo a occhio nudo senza bisogno di consultare le ridicole e illiberali liste di proscrizione compilate dai nostri servizi segreti e ovviamente diffuse, in quanto segrete, via stampa perché in Italia funziona così.
L’altra sera, ospite della trasmissione Non è l’Arena condotta da Mosca da Massimo Giletti, ho detto a due o tre di questi signori come la pensavo e ho poi tolto il disturbo. Se ho esagerato nei toni e negli aggettivi è soltanto permettermi a un livello comprensibile ai miei interlocutori. Ammiro, ma non comprendo, i colleghi che perdono tempo facendo loro domande sensate. È un esercizio inutile perché, come è successo anche domenica sera, mai si otterrà una risposta che faccia fare anche soltanto un passo in avanti al dibattito. Hanno imparato a memoria la storiella dell’Occidente baro e corrotto e di lì non si spostano, se gli chiedi come si chiamano ti rispondono che il nome non conta, conta che tu sei servo dell'America, che non sei libero eccetera eccetera.
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Ecco tutto ciò non ha nulla a che fare con la libertà di espressione e neppure con la par condicio. Diceva Confucio: «Quando le parole perdono il loro senso le persone perdono la libertà». Sono passati duemila e cinquecento anni, noi lo abbiamo capito e siamo liberi, i propagandisti russi no. Se uno di loro, per caso, volesse discutere seriamente di due o tre cose che riguardano questa assurda guerra noi siamo qua, ma niente trucchi e niente inganni. Perché non Confucio bensì Totò più di recente ebbe a dire: «Signori, ccà nisciuno è fesso».