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Covid e fannulloni? Il vero furbetto è il positivo che non si denuncia

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Tommaso Lorenzini
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Lavorare con un positivo al Covid di fronte? No, grazie. E non si tratta di posizioni oscurantiste, ideologiche o di assuefazione al "pensiero unico" che tanto fanno inorridire i no vax. Da queste parti la libertà è di casa. È piuttosto un approccio personale, un patto con il collega di turno, con colui che con te deve condividere ore di spazio fisico e sociale. Perché se è vero che ormai ogni giorno contempliamo il rischio di ritrovarci a fianco un asintomatico (potremmo esserlo noi stessi) e dunque all'oscuro della sua condizione, non è accettabile farlo con qualcuno che invece il Covid sa di averlo e lo sottovaluta, non lo denuncia, lo derubrica a influenza di stagione.

 

 

L'esperienza ci insegna che non è così, ci chiede di non fingere, aldilà di quale sia il parere minimizzante dell'esperto di turno che dice di non fare allarmismi perché "Omicron è un'altra cosa" (non sembra che da febbraio 2020 le abbiano azzeccate tutte, non vi pare?). Chiamatela autoconservazione. Il punto è che il ruolo del furbetto viene rovesciato: da quello che "fa finta" di avere il Covid per non lavorare a quello che finge di non averlo per non farsi mancare niente.

 

 

Qui crolla il rapporto di fiducia: come possiamo fidarci, anche solo per questioni lavorative, di qualcuno che consapevolmente ti frega sulla salute? Quali priorità avrebbe costui nella vita? Quale affidabilità? L'italiano ha la memoria cortissima e anche stavolta lo dimostra. Ci siamo dimenticati che solo pochi mesi fa l'isolamento e la distanza l'uno dall'altro erano considerati il più grande alleato per sconfiggere il Coronavirus e la sua proliferazione? Oggi vogliamo fare l'opposto? Scusate, ma a un tale ribaltamento della realtà è difficile credere. 

 

 

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