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Mario Draghi, le strane petizioni a favore del premier: la democrazia fatta dai loggioni

Iuri Maria Prado
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 Inutile dire che non c'è nulla di illecito nell'iniziativa con cui un gruppo di sindaci reclama che un presidente del Consiglio dimissionario ci ripensi. Ma è comunque il segno di uno sviluppo abbastanza strano della nostra democrazia, che si affida ormai sistematicamente a soluzioni commissariali puntellate da occasioni di acclamazione. Provvidenza esecutiva e piazza legittimante/questuante.

 

 

 

La scena di Mattarella alla Scala, coi sudditi in delirio a chiedergli il bis, è inquadrata perfettamente in quella medesima e un po' buffa rappresentazione del potere che si avvicenda con sé stesso sulla scorta della petizione di turno. Niente di male nemmeno in quel caso, appunto, ma in modo letteralmente plateale quella scena denunciava l'andazzo di un sistema a equilibrio costituzionale, per così dire, neo-rappresentativo, cioè con i capi accreditati dai loggioni prima, e più, che dalle assemblee legislative.

 

 

 

Non è vietato. Fa un po' specie. E naturalmente nessuno, tra quelli che oggi si esercitano in questo esperimento, avrà nulla da dire se altri, domani, altrettanto legittimamente, impugneranno le insegne municipali per far dimettere un premier sgradito. 

 

 

 

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