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Tasse, il virus statalista della sinistra: ecco perché i democratici le amano

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Come mai una qualsiasi proposta di abbassamento delle tasse fa perdere letteralmente le staffe allo statalista? È semplice. Perché per lui non è che abbassare non si può: per lui non si deve. Se pure le casse dello Stato fossero piene, se pure ci fosse abbondanza di risorse per finanziare ogni servizio pubblico, se pure la previdenza, la sanità, la scuola, i trasporti fossero perfettamente garantiti e le amministrazioni che li presidiano in perfetta salute, lo statalista direbbe che abbassare le tasse non si deve perché la pretesa punitiva dello Stato tramite le tasse pone rimedio all'ingiustizia del guadagno, all'ingiustizia del profitto, all'ingiustizia dell'iniziativa economica privata intrinsecamente rivolta contro l'utilità sociale.

 

 

Quando sente discutere di tasse da abbassare, lo statalista rinfaccia che c'è gente che sta in povertà, come se questa fosse creata da chi non è povero e guadagna bene anziché dal sistema che punisce la produzione, la concorrenza, l'iniziativa individuale, la libertà di impresa, vale a dire le cose che da sempre dividono il mondo in due: da una parte il mondo dove queste cose ci sono, che è il mondo con più benessere e meno poveri, più avanzato, più libero; dall'altra parte il mondo dove quelle cose non ci sono o, come da noi, sono avversate, ed è la parte di mondo in cui non c'è sperequazione perché sono poveri tutti, il mondo arretrato e meno libero della giustizia social perseguita - e puntualmente disattesa con le tasse, con il vincolo burocratico e con la retorica redistributiva da comizio venezuelano.

 

 

La realtà è che il più infingardo tra i riccastri, quello che pure non ha mai lavorato un giorno in vita sua perché ha ereditato tutto, è meno dannoso dello Stato che vuole sgraffignargli i soldi per mantenere la propria inefficienza parassitaria.

 

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