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Vittorio Feltri, "le allucinazioni sulla Meloni": cosa vedono a sinistra

Vittorio Feltri

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Ormai non mi arrabbio più. Mi viene da ridere quando leggo sui giornali nostalgici del comunismo vari pistolotti che incitano Giorgia Meloni a ripudiare il fascismo, senza tenere conto che quel regime si è ripudiato da solo quasi ottanta anni orsono. Addirittura Ezio Mauro, già direttore abile de la Repubblica e ora editorialista della medesima, ha vergato un saggetto per dire che la leader di FdI dovrebbe scacciare dal suo partito le ombre dell'infausto Ventennio. Un articolo delirante che attribuisce alla signora una parentela abbastanza stretta con Mussolini. La comicità del pezzo è esaltata da un linguaggio torvo che dà per scontato che Giorgia nella borsetta nasconda una bottiglia di olio di ricino da somministrare ai suoi avversari. Mauro solennemente afferma che per giudicare il fascismo bisogna assumere la democrazia come criterio occidentale ed è questo che ci si attende dalla presidente dei conservatori, i quali hanno conservato tutto meno le camicie nere, che Giorgia non ha mai neppure visto. Accusare questa donna mite e riflessiva di essere a capo di un manipolo ostile alla Costituzione significa vaneggiare, non accorgersi neppure dell'evidenza, ignorare la logica.

 

 

VELENO MARXISTA
Mauro è tutt'altro che uno sciocco, tuttavia è chiaro che egli è talmente esacerbato a causa del successo di Meloni da confondere i propri incubi notturni con la realtà. Scorge nero dappertutto, teme che una vittoria elettorale della destra spalmi di vernice cupa la politica italiana che, viceversa, non riesce ancora a liberarsi del rosso comunista, come si evince osservando i personaggi che popolano i partiti e i partitini che ruotano intorno ai cosiddetti progressisti. L'inestinguibile veleno marxista costituisce ancora un pericolo, non per la democrazia bensì per i cervelli già bacati di coloro che attaccano Giorgia non tanto perché donna quanto perché si accinge a vincere le elezioni con estrema facilità, suscitando pertanto l'ira, l'acredine e l'invidia dei nipotini di Stalin, di cui Montanelli teneva sulla propria scrivania una statuetta di bronzo. Quando gli chiesi per quale motivo conservasse quel cimelio mi rispose: «Stimo il dittatore russo dal momento che è colui che ha ucciso il più alto numero di compagni». Lo sanno tutti fuorché gli stupidi che, in fondo al cuore, lo rimpiangono.

 

 

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