Stragi di mafia del '93, indagati Berlusconi e Dell'Utri
Palermo, 31 ott. (AdnKronos) - "Puntualmente e come sempre da oltre 20 anni, a ridosso di una competizione elettorale a pochi mesi dalle elezioni nazionali e proprio nel giorno in cui il presidente Berlusconi sarà in Sicilia, a mezzo stampa senza che in alcun modo siano stati previamente avvisati il diretto interessato o i suoi legali, è stata pubblicata, con grande risalto, la notizia di una nuova indagine nei suoi confronti". Lo si legge in una nota dell'avvocato Niccolò Ghedini. "E, come di consueto, mai si potrà sapere chi ha propalato la notizia, ovviamente coperta da segreto, ai giornalisti. E questa sì - prosegue il legale di Silvio Berlusconi - che è un'indagine che non dovrebbe comportare particolari complessità per individuare il o i responsabili. "Sarà interessante verificare se il ministro Orlando vorrà contribuire, mediante i mezzi ispettivi di cui dispone, a far luce sul grave episodio, anche tenuto conto che, a tenore delle stesse fonti giornalistiche il nome del presidente Berlusconi nel registro degli indagati sarebbe stato addirittura segretato dalla Procura di Firenze". "È comunque altrettanto evidente - aggiunge Ghedini - che l'ennesima indagine non potrà che concludersi con una rapida archiviazione, così come già avvenuto in passato, non essendovi alcun reale elemento di novità ed essendo la totale estraneità del presidente Berlusconi più che conclamata e avvalorata dalle plurime precedenti archiviazioni nonché da altrettante plurime sentenze di merito e della Corte di Cassazione". "Del resto il solo ipotizzare che il Presidente Berlusconi possa in alcun modo essere coinvolto nelle vicende in oggetto è talmente assurdo che qualsiasi commento diviene superfluo", conclude l'avvocato e senatore di Fi. L'apertura di un'inchiesta a Firenze sui mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993, che vede nuovamente indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri "non porta nessun ulteriore supporto probatorio, la prova è inconsistente e non genuina", perché il boss Giuseppe Graviano "sapeva di essere intercettato in carcere". Lo ha detto all'Adnkronos l'avvocato Giuseppe Di Peri, legale dell'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri, commentando la riapertura dell'indagine. La Procura di Firenze, come scrivono oggi alcuni quotidiani, ha già ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo, archiviato nel 2011, e ha delegato nuovi accertamenti alla Direzione investigativa antimafia sulle intercettazioni in carcere del boss Giuseppe Graviano. Nella registrazione delle cimici in carcere, Graviano, parlando con il codetenuto Umberto Adinolfi, il 10 aprile dello scorso anno, aveva detto: "Novantadue già voleva scendere... e voleva tutto", e secondo la Procura il soggetto era l'ex premier Silvio Berlusconi. Poi avrebbe aggiunto, sempre secondo i pm: "Berlusca... mi ha chiesto questa cortesia... (...) Ero convinto che Berlusconi vinceva le elezioni ... in Sicilia ...". Si tratta di un passaggio chiave di uno dei dialoghi intercettati in cui, secondo l'accusa che ha depositato le conversazioni audio e le trascrizioni nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Il capomafia parla di presunti favori fatti da Silvio Berlusconi a Cosa nostra, che la mafia avrebbe ricambiato con le stragi del 1992 e del 1993. Ma per la difesa di Dell'Utri, la parola 'Berlusca' non sarebbe mai stata pronunciata, come dimostra una consulenza della difesa depositata nei giorni scorsi dall'avvocato Di Peri nell'ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia. E lo dimostrerebbero, secondo l'avvocato Giuseppe Di Peri, alcune delle intercettazioni in carcere tra Graviano e Adinolfi "in cui - dice Di Peri - i due dimostrano di sapere di essere ascoltati. Ecco perché le prove che sono state inviate, sia a Firenze che a Caltanissetta, non sono genuine. Al vaglio della valutazione del giudice sono inconsistenti". "E' stata un'inchiesta estremamente approfondita, sia a Caltanissetta che a Firenze - aggiunge Di Peri - e non ha portato a nulla. Questo invio di atti che contiene delle conversazioni, evidentemente veicolate per chi doveva ascoltare, non porta nessun ulteriore supporto probatorio. Sono indagini chiuse anni fa e non hanno portato a nulla, e ora vengono riaperte sulla scorta di alcune conversazioni i cui interlocutori sapevano benissimo di essere ascolti". Per Di Peri "la riapertura dell'inchiesta è quasi obbligata, che però possa portare a qualcosa è assolutamente impensabile, perché non è una prova qualificata, come abbiamo dimostrato con la nostra consulenza, una prova non genuina". Ma quali sono queste conversazioni? Ecco lo stralcio di alcune intercettazioni di cui è in possesso l'Adnkronos: E' il 2 febbraio 2016 e Giuseppe Graviano dice a Umberto Adinolfi: "E cosa ti ho spiegato io? Dall'altra volta hanno messo le telecamere nel passeggio dove andiamo noi. Come queste di qua che ascoltano tutto quello che diciamo". "Perché sono messi dagli spioni". In un'altra conversazione Adinolfi dice: "Già le cambiarono qualche mese fa le telecamere, io le ho viste da sopra". E Graviano risponde: "Forse non mi sono spiegato, un mese fa hanno messo questa. E' quella del primo passeggio". Il 3 febbraio 2016 Graviano dice ad Adinolfi: "Sì, Umbe', ci hanno messo qua per le telecamere pronte, forse hanno messo le telecamere". E Adinolfi: "Questo è pure un faro, poi dice che i soldi non li hanno. Per mettere queste cose hanno sempre i soldi. Adesso si sentono soddisfatti". Per il legale di Dell'Utri queste conversazioni "dimostrano la prima consapevolezza degli interlocutori di esser ascoltati".