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Migranti: il racconto dell'orrore di una vittima, 'così venivamo torturati in Libia'/Adnkronos

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AdnKronos
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Palermo, 16 set. (AdnKronos) - Torture, minacce, violenze di ogni genere. Ecco i racconti delle vittime dei tre aguzzini fermati all'alba di oggi dalla Squadra mobile di Agrigento, diretta dal vicequestore aggiunto Giovanni Minardi, su disposizione della Dda di Palermo. "Io sono un cittadino del Camerun. A causa di problemi con la mia famiglia, ho deciso di lasciare il mio paese il 7.3.2018. Ho raggiunto la Nigeria ma ho avuto modo di constatare le difficili situazioni della vita, ragion per la quale ho deciso di trasferirmi in Niger. Da lì mi sono trasferito in Algeria, dove sono arrivato ad aprile del 2018. Da questo ultimo Stato mi sono trasferito nuovamente in Niger e poi in Libia, dove sono arrivato il 10.05.2018". Inizia così il lungo racconto di una delle vittime dei trafficanti di uomini e torturatori fermati all'alba di oggi. "In Niger, per poter raggiungere la Libia, io con altri migranti ci siamo rivolti ad un organizzatore, alla quale abbiamo pagato, ognuno di noi, la somma equivalente di 32 euro, per poter raggiungere la Libia - racconta - L'organizzatore al quale abbiamo pagato la somma di denaro è un cittadino del Niger, soprannominato “Aladì', il quale può avere circa 50 anni, è alto, molto magro, ed aveva i baffi. Lo stesso, per il nostro trasporto, si è avvalso di propri collaboratori che hanno utilizzato un autoveicolo, molto simile ad una motoape. All'atto del nostro arrivo a Saba (Libia), tutti i migranti, eravamo 5 uomini e 4 donne, venivamo condotti all'interno di un ampio capannone e poi chiusi a chiave. Sostanzialmente siamo stati venduti". "All'atto del nostro arrivo, all'interno di quel capannone vi erano tanti altri migranti, circa 20-30 persone, uomini e donne.Tutte le donne che erano con noi, una volta alloggiati all'interno di quel capannone sono state sistematicamente e ripetutamente violentate dai 2 libici e 3 nigeriani che gestivano la struttura. Preciso che da quella struttura non si poteva uscire. Eravamo chiusi a chiave - racconta ancora - I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli altri due nigeriani avevano due bastoni". "Le condizioni di vita, all'interno di quella struttura, erano inaudite. Ci davano da bere acqua del mare e, ogni tanto, pane duro. Noi uomini, durante la nostra permanenza all'interno di quella struttura venivamo picchiati al fine di sensibilizzare i nostri parenti a pagare loro delle somme di denaro in cambio della nostra liberazione - spiega la vittima- Di fatto avveniva che, i predetti organizzatori ci mettevano a disposizione un telefono col quale dovevamo contattare i nostri familiari per dettare loro le modalità con il quale dovevano pagare le somme di denaro pretese dai nostri sequestratori. Ho avuto modo di apprendere che la somma richiesta dagli organizzatori in cambio della liberazioni di ogni di noi, si aggirava a circa 10000 dinari libici. Io, malgrado incitato a contattare i miei familiari, mi sono sempre rifiutato".

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