Lo scrittore David Szalay ha vinto con decisione unanime il Booker Prize 2025, il più prestigioso riconoscimento della narrativa in lingua inglese, con il romanzo Nella carne (Adelphi, pp. 330 €20, traduzione di Anna Rusconi).
«Non avevamo mai letto nulla di simile», ha dichiarato Roddy Doyle, presidente di giuria «è un libro cupo ma è una gioia da leggere: la scrittura di Szalay costringe il lettore a entrarci dentro, a viverlo dall’interno». 51enne, ungherese naturalizzato canadese, Szalay - già finalista nel 2016 con Tutto quello che è un uomo- ha ricevuto il premio (e le 50mila sterline in palio) all’Old Billingsgate di Londra. Nella carne non partiva da favorito, tuttavia, aveva ottenuto il sostegno della popstar Dua Lipa e della scrittrice Zadie Smith per aver saputo rinnovare la forma del romanzo realistico. Il risultato è un libro spiazzante che narra la storia di István, un ragazzo delle periferie ungheresi capace di compiere un balzo sociale diventando un uomo d’affari nella Londra opulenta dei giorni nostri, attraversando quarant’anni di storia in un continuo oscillare fra desiderio, disincanto e solitudine.
Nella carne è il sesto romanzo di Szalay – ricordiamo anche Turbolenza – un deciso ritorno alle domande fondamentali della letteratura: che cosa vuol dire abitare un corpo, attraversare il tempo e sopportare il peso della realtà?
All’inizio della storia, István è un adolescente taciturno che cresce in un palazzone dell’Ungheria socialista con una madre single; una relazione erotica con una vicina più matura si trasforma in tragedia, poi il carcere, la guerra in Iraq, l’emigrazione in Inghilterra, lo straniamento della pandemia, la scalata sociale sfiorando la vera ricchezza e infine, il ritorno mesto a Budapest, chiudendo idealmente un cerchio, tornando nell’ombra. Nulla in István ricorda l’eroe classico: è un uomo trascinato, un corpo che si muove attraverso la storia, senza mai comprenderla.
Le pagine corrono via veloci e ci rendiamo conto che il protagonista non compie alcuna scelta: subisce il destino, si adatta, senza cambiare la propria natura. Ma dietro quell’inerzia si nasconde una forma di lucidità, un invito a guardare oltre l’apparenza dell’uomo comune. Ecco perché la sua espressione ricorrente – “Okay” – suona come una dichiarazione di resa davanti all’indifferenza del destino che lo attende. La carne diventa la chiave simbolica e concreta del romanzo. Il corpo, con i suoi impulsi e i suoi patimenti, è prigione e verità, unico linguaggio possibile in un’epoca che ha esaurito le parole e le ha trasformate in patetiche emoji. Attraverso la violenza, il sesso, la guerra, István cerca brandelli di realtà e soltanto quando si trova di fronte alla morte - nella guerra, nella perdita, nel desiderio che diventa umiliazione - il mondo gli appare davvero vivido.
La potenza del libro è tutta cristallizzata nello stile. Szalay scrive senza orpelli, scarnificando la lingua all’essenziale: frasi brevi, dialoghi minimi, ellissi che fanno risuonare il silenzio più delle parole. Questa spogliazione non è mero esercizio formale ma una precisa scelta. Ogni parola pesa, ogni omissione conta. In poche righe Szalay restituisce la solitudine, la paura, la vergogna del protagonista. Le pagine si susseguono come fotogrammi di azioni semplici e il ritmo ipnotico restituisce il vuoto del quotidiano. Un minimalismo che ci consegna una riflessione sul potere e sul dolore, resa perfettamente con uno stile sobrio e ritmato.
Nella carne è un romanzo di formazione e dissoluzione, István attraversa le tappe di una vita che sembra condurlo verso l’affermazione sociale e il benessere economico, eppure, ogni conquista coincide con una perdita, finendo per smarrire la sua stessa identità.
Con la sua prestanza fisica e la sua mascolinità primitiva, István scala la società e si aggrappa agli oggetti di valore ma, lentamente, perde tutto. E infine, resta soltanto il corpo, la carne, la consapevolezza della propria finitezza. Un lavoro e un tetto, tornando al punto di partenza. In questo risiede la forza artistica di Szalay, nel restituire la grandezza tragica di una vita qualunque, rendendo il silenzio più eloquente di qualsiasi introspezione. Nella carne racconta la solitudine dell’uomo europeo contemporaneo, solitario e incapace d’amare. Ma ci restituisce anche la sua tenace volontà di resistere al vuoto che gli corre incontro. Con un romanzo importante e maturo, David Szalay conferma di essere una delle voci più originali della narrativa contemporanea: un autore capace di fondere lucidità e compassione, senza cedere alla cultura woke, senza timore di mostrare tutto il nostro cinismo. Senza alcuna pietà.