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Per 7 imprese su 10 è voglia di mercato americano

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Bologna, 28 apr. (Labitalia) - Gli Stati Uniti rappresentano uno dei mercati più attrattivi per i capitali delle aziende di tutto il mondo e storicamente occupano una posizione di leadership per i nuovi investimenti delle imprese. Secondo ben 7 imprenditori italiani su 10 (72%), infatti, il mercato statunitense è il migliore dove investire i propri capitali. E il perchè è presto detto: può contare su un'economia solida e in continua espansione (62%), un sistema fiscale certo e trasparente (58%) e una tassazione vantaggiosa (55%). È quanto emerge da un'indagine promossa da K&L Gates Legal Observatory, l'osservatorio della sede di Milano dello studio internazionale K&L Gates, che analizza il panorama legale nel contesto italiano e internazionale. Tra le preoccupazioni principali che inibiscono gli investimenti all'estero, ci sono però la burocrazia (68%), la scarsa conoscenza del sistema legale (62%) e la lenta ripresa economica (57%). Dubbi raccolti dagli esperti in campo di tutela legale degli investimenti, che raccomandano di operare con il supporto di professionisti con grande esperienza internazionale per non rischiare di andare incontro a controversie fiscali e legali. L'indagine è stata condotta in occasione del convegno 'Investire in Usa: crescita e opportunità per le imprese', organizzato dall'American Chamber of Commerce in Italy e K&L Gates in collaborazione con Banca Popolare dell'Emilia Romagna e Confindustria Emilia Romagna; ha preso a campione 150 imprenditori delle maggiori città italiane proponendo loro un questionario volto a comprendere come le aziende italiane considerano e valutano gli investimenti negli Stati Uniti e se pensano di effettuarne nel loro futuro. Dall'indagine è emerso inoltre che, nonostante molti imprenditori non abbiano mai investito negli Stati Uniti (68%) o all'estero (57%), ben 7 su 10 considerano un'operazione negli Usa la migliore opportunità per lo sviluppo della propria azienda (72%) e hanno preso in considerazione la possibilità di farlo in futuro (69%). Ad incoraggiare le aziende verso tale orientamento sono la presenza di un mercato maturo e solido che può contare su quasi 320 milioni di abitanti (62%), un sistema fiscale certo e trasparente che non ammette 'furbetti' (58%) sia per quanto riguarda l'import, sia per quanto riguarda l'export, e una tassazione concretamente vantaggiosa per le aziende straniere che vogliono investire negli Usa (55%). “Il primo ostacolo per gli investitori -spiega Vittorio Salvadori di Wiesenhoff, partner della sede milanese dello studio legale internazionale K&L Gates e responsabile del dipartimento di diritto tributario- è confrontarsi con un sistema fiscale diverso dal nostro. Il primo e fondamentale step è valutare le conseguenze fiscali derivanti dalla tipologia d'ingresso che viene effettuata sul mercato statunitense. Anche in assenza di una presenza fisica sul territorio, infatti, c'è il rischio della creazione di una ‘stabile organizzazione', possibile in alcuni casi anche con un accordo commerciale con terzi (come un distributore locale), che implica il pagamento di imposte negli Stati Uniti". Se si opta per una presenza più strutturata nel Paese, "occorre, da un lato, valutare quale sia la tipologia societaria più adatta -dice Salvadori- al perseguimento dei propri obiettivi e, dall'altro, scegliere lo Stato dove procedere alla costituzione (spesso è il Delaware, in considerazione di una legislazione societaria estremamente evoluta e flessibile)". Insomma, suggerisce Salvadori, l'importante è "non andare allo sbaraglio, e rendersi conto che ci si sta affacciando in un mercato diverso che richiede l'assistenza di consulenti esperti per trarre i maggiori vantaggi da questa economia incredibile”. Se Olanda, Giappone e Svizzera sono i primi tre paesi investitori negli Usa, con flussi rispettivamente di 29,3 miliardi di euro, 25,4 miliardi di euro e 17,7 miliardi di euro, secondo i dati diffusi dalla Farnesina l'Italia nel 2014 ha fatto affluire nel mercato americano ben 2,8 miliardi di euro, un aumento che sfiora il 50% rispetto agli 1,5 miliardi di euro nel 2013. Una tendenza che vede un ritorno dei capitali italiani, oltre che negli Stati Uniti, anche in altre parti del mondo. Secondo gli esperti, gli altri mercati dove si stanno maggiormente concentrando gli investimenti sono l'Iran, grazie alla revoca delle sanzioni internazionali, a seguito dell'accordo sul nucleare del luglio 2015, la Cina, l'India e il Brasile. Mercati che, sebbene abbiano progressivamente aumentato la loro redditività, a causa della loto instabilità economica e politica, rappresentano ancora territori ad alto rischio per gli investimenti stranieri. “Dal nostro punto di vista -osserva Arturo Meglio, avvocato partner di K&L Gates esperto in ambito societario- la prima difficoltà riguarda la poca dimestichezza degli imprenditori con la normativa legale americana che peraltro non è unitaria ma differisce su base statale oltre a prevedere anche una regolamentazione federale in alcune materie. Si tratta di un sistema molto competitivo - assicura - che può offrire tante opportunità, ma che fa incontrare anche delle difficoltà oggettive, come le dimensioni notevoli del mercato, la lingua, la scarsa conoscenza del sistema e la difficile gestione organizzativa che richiede un team specializzato di professionisti che segua tutte le fasi". "Per quanto riguarda, invece, gli stati più attrattivi per i capitali italiani, si possono citare quello di New York, la California, la Carolina del Nord, che per esempio a Charlotte e Carolina del Sud, con Charleston, offrono degli incentivi, e il Delaware che presenta una normativa societaria più flessibile. Esistono anche altri mercati importanti, come quello di Cina e India, ma non danno le stesse garanzie politiche, giuridiche e finanziarie”, conclude.

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