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Obama tende la trappola razziale ai repubblicani

Il governo si batte contro la legge statale che impone ai cittadini un documento con foto per votare: così può dire che il Gop è razzista

Andrea Tempestini
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Senza un documento d'identità con la fotografia non si può visitare il Memorial dell'11 settembre a Ground zero, né volare (ovviamente), né bere una birra se si ha un aspetto giovanile. Non si può andare in albergo. Tantomeno, si può sperare di entrare a visitare la Casa Bianca. Ma neppure andare a trovare il ministro della Giustizia Eric Holder, nella sede del suo ministero, per chiedergli come possa aver deciso, nel 2012, di bloccare le leggi statali della Sud Carolina (un paio di mesi fa) e del Texas (la settimana scorsa) che richiedono ai propri cittadini di provare con un documento di riconoscimento, con foto, di essere John Smith e di avere il diritto di mettere la scheda nell'urna. Ieri è stata la Pennsylvania, con una maggioranza di 104 a 88 del proprio parlamento, ad aggiungersi alla lista degli Stati che negli ultimi anni si sono dotati, via via, di questa misura di evidente garanzia della correttezza del voto. Interverrà anche contro questo Stato il governo Obama, esacerbando una disputa che è destinata ad avere effetti sulle elezioni di novembre? Si saprà a breve se Holder si esporrà ad accusare di “razzismo” uno Stato che dal 1948 ha una particolare caratteristica: senza conquistare la Pennsylavania nessun democratico ha mai vinto la presidenza dopo Harry Truman. Dietro alla decisione di cercare di bloccare le leggi che richiedono il documento c'è un calcolo politico smaccato. Quello di poter attaccare i repubblicani, favorevoli alla trasparenza degli elettori, perché discriminerebbero contro i neri e gli ispanici in quanto, secondo qualche statistica peraltro discutibile, avrebbero un numero inferiore di patenti di guida (è il più classico dei documenti con foto) dei cittadini bianchi. Anche se gli Stati che hanno emesso le leggi pro foto ( in fondo pubblichiamo l'elenco ad oggi) si sono contestualmente impegnati a fornire gratis a tutti i richiedenti un documento apposito statale di riconoscimento, ed anche se la stessa Corte Suprema, con 6 voti contro 3 (tra i sì c'era pure il giudice più liberal John Paul Stevens) ha ritenuto tempo fa costituzionale la legge dell'Indiana che era stata portata in tribunale, Holder & Obama pensano sia conveniente usare il tasto del supposto razzismo per chiamare a raccolta i loro fans. Lo scopo è quindi duplice: sventolare la bandiera ideologica dicendosi paladini dei poveri ispanici e neri senza documento, e concretamente tenere aperta la via, dove possibile, per pratiche sospette di reclutamento al voto di cui si era resa protagonista la associazione di attivisti pro sinistra Acorn nel 2008. Quando il loro cammellaggio irregolare venne smascherato, lo scandalo fu tale che il Congresso tagliò i finanziamenti pubblici per la loro attività. Il rovescio della medaglia del blocco delle leggi da parte di Obama-Holder, e delle cause in tribunale che invariabilmente seguono (come fu per l'Indiana) è che il sentirsi dare dei razzisti per voler introdurre una norma di buon senso che non discrimina più nessuno potrebbe convincere non solo i bianchi, ma le normali persone ragionevoli di ogni razza a giudicare pretestuoso e demagogico l'intervento federale ostile ai diritti degli stati di regolarsi come credono. All'origine, la non obbligatorietà dei documenti era considerata una misura che favoriva l'accesso alla democrazia del voto delle masse incolte e povere. Così, con le leggi dei diritti civili, fu dato mezzo secolo fa al governo centrale il potere di approvazione delle norme elettorali  negli stati del sud, dal passato oggettivamente discriminatorio. Usare ora quella vetusta possibilità non è un intervento serio di difesa dei diritti, ma una scelta propagandistica “antirazzista” del governo centrale democratico nella speranza che mobiliti qualche voto in più. Una prova paradossale che chi è contro la legge pro foto è nel torto l'hanno data gli attivisti del Naacp (associazione dei neri di sinistra), che hanno denunciato al Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu gli Stati Usa che l'hanno introdotta. Nel Consiglio, si sa, siedono Cuba, Cina, Arabia Saudita ed altri campioni del voto libero. Chi si rivolge a loro per lamentarsi che negli Usa si discriminano i cittadini nelle loro libertà non ha decenza né senso del ridicolo. Negli Stati Uniti, con buona pace dell'Onu, il trend è decisamente a favore dell'uso dei documenti di riconoscimento. Gli Stati che hanno la legge che richiede rigidamente la foto sono Georgia, Indiana, Kansas, Mississippi, Tennessee, Wisconsin. Sud Carolina e Texas sono nel limbo dopo il blocco citato sopra, e la Pennsylvania è appena entrata nel lotto. In altri si richiede il documento con foto o un documento alternativo specifico statale: Alabama, Florida, Hawaii, Idaho, Louisiana, Michigan e Sud Dakota. Documenti validi riconosciuti dallo stato, non necessariamente con la foto, sono necessari per votare in Alaska, Arizona, Arkansas, Colorado, Connecticut, Delaware, Kentucky, Missouri, Montana, Nord Dakota, Ohio, Oklahoma, Rhode Island, Utah, Virginia, Washington. Negli altri, meno di una ventina (tra cui California, Illinois, New Jersey e New York) non esistono leggi specifiche che richiedono documenti di identità.   di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi

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