L'ultimo "racket" di Obama: la benzina dalle alghe
Finanziamenti statali a pioggia alle aziende che testano la nuova fonte energetica. E che sono guidate da finanziatori dei democratici
Le alghe sono l'ultima spiaggia per la retorica di Obama sull'energia. “C'è un sacco di alghe là in giro”, ha detto di recente in un comizio. “Se troviamo il modo di estrarre energia da lì, è fatta!”. E' la forza spudorata della sinistra quella di “inventare” soluzioni ideologicamente corrette, anche se più che improbabili, tanto per distrarre il pubblico dalla realtà delle cose. Nella guerra al petrolio, al carbone, al gas naturale, cioè alle fonti ancora oggi e chissà per quanto tempo ancora vitali allo sviluppo sociale, e soprattutto convenienti economicamente, i verdi le hanno tentate tutte: l'etanolo, il vento, il sole, le biomasse, le correnti sott'acqua dei fiumi (un esperimento è stato fatto nell'Est River a New York qualche anno fa, ed è fallito), e oggi le alghe. Non c'è nulla di sbagliato nelle ricerche che puntano ad affiancare alle attuali fonti classiche nuove idee: è così che va avanti il progresso. Quello che è sbagliato nella politica ambientalista che guida Obama è che il presidente fa un postulato della condanna ideologica del petrolio, del gas, del carbone (ma anche del nucleare) e che spende e spande denaro dei contribuenti su scommesse scientifiche e imprenditoriali che hanno solo un effetto sicuro: quello di finanziarie gli amici politici che mettono in piedi imprese ben sapendo che il rischio vero lo paga lo stato, non investitori con la determinazione di riuscire mettendoci del proprio. L'esempio della Solyndra, la società dei pannelli solari che è fallita mangiandosi 500 milioni dello “stimolo pubblico” e licenziando i 1000 operai, l'avevamo raccontato in precedenti Diari qualche mese fa. Recentissimo è il fallimento della Chevy Volt, la automobile verde che la General Motors ha dovuto di fatto produrre per compiacere la Casa Bianca quando ha avuto i miliardi per stare in vita dopo la bancarotta: produzione sospesa e 1300 dipendenti a casa, perché quella macchina carissima (40mila dollari), anche se dà 7500 dollari di credito fiscale agli acquirenti, non la vuole nessuno. Ora escono i nomi (e i soldi pubblici che hanno ricevuto) delle aziende che si stanno immergendo nello sforzo di trasformare le alghe in benzina. La Woods e la Algenol, che Forbes ha designato “le società di alghe preferite dal presidente”, si sono prese 25 milioni l'una di stimolo federale. La Sapphire Energy ne ha assorbiti 105, scrive Michelle Malkin sul New York Post oggi (“Il racket delle alghe della Casa Bianca) , anche se la praticità, la convenienza e l'efficienza del business sono tutte da dimostrare: ma Jason Pyle, Ceo della Sapphire, è un noto donatore di fondi ai Democratici e ciò aiuta a capire. Altro caso è la Solazyme di San Francisco, che si è assicurata 21 milioni dal governo Obama: tra i suoi consiglieri strategici, guarda caso, c'è TJ Glauthier, che fu un membro dello staff di Obama durante la transizione dalla precedente amministrazione e che ha partecipato alla distribuzione dei fondi dello stimolo del 2009 “per la parte relativa all'energia”. Secondo Andrew Stiles del Washington Free Beacon, “dirigenti della Solazyme tra cui Glauthier hanno contribuito 360mila dollari ai democratici dal 2007”. Questo “capitalismo” corrotto dal denaro pubblico comprato con le donazioni politiche è una evidente stortura del sistema. Di fatto, è una redistribuzione di favori che non ha al primo posto la ricerca del profitto sano. Quando uno rischia di suo, ci pensa 10 volte prima di compiere investimenti azzardati. Soprattutto, parte da idee che promettono, anche se non possono garantire, un successo economico. Oggi, perfino la Algal Biomass Organization, ossia coloro che sono favorevoli a far progredire questa tecnica, sostiene che le alghe non potranno essere una fonte alternativa competitiva con quelle già sul mercato prima del 2020. E neppure questo traguardo è certo. Il carburante dalle alghe, secondo stime degli esperti, costa oggi tra i 140 dollari e i 900 dollari al barile per essere prodotto. Ha scritto Newt Gingrich, in un recente articolo contro la soluzione miracolistica obamiana delle alghe, che per far crescere volumi di alghe su estesi territori, tali da essere industrialmente sfruttati, “ si devono impegnare costosi equipaggiamenti, comprese le macchine per rimescolare le acque, quelle per separare le alghe dall'acqua, e creare sistemi di impermeabilizzazione che proteggano il terreno. Anche ipotizzando un costo di un dollaro per piede quadrato, cioè meno di quanto costa un piede quadrato di linoleum per i pavimenti, vorrebbe dire qualcosa come 44mila dollari per acro. E' un costo molto più elevato di quello di qualsiasi impiego agricolo alternativo”. Siccome i terreni più adatti alla coltivazione di alghe sono i deserti, vanno poi aggiunti i costi per trasportare l'acqua, e anche l'ossido di carbonio di cui le alghe necessitano per la loro crescita. di Glauco Maggi