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Terrorismo, l'esperto Lorenzo Vidino: "Così l'Italia finanzia il Califfo"

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Eliana Giusto
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Con l' esperienza maturata nel Kgb, al presidente russo Vladimir Putin non potevano sfuggire i legami internazionali occulti del terrorismo. Sono ben «individui di 40 paesi, inclusi alcuni membri del G20», a finanziare l' Isis, secondo il capo del Cremlino. Non li nomina uno per uno, ma loro sanno. Alcuni sono presenti.  «Chiaramente si riferiva all' Arabia Saudita. Le accuse non sono totalmente fuori luogo. Si può dire che almeno fino a qualche tempo fa l' Arabia Saudita finanziava chiunque si opponesse ad Assad. Con soldi e denaro, foraggiava qualunque gruppo sunnita attivo in Siria, compreso lo Stato islamico», spiega Lorenzo Vidino, direttore del Programma sull' estremismo della George Washington University, a Washington DC, parlando con Adnkronos Aki International. Poi si sono ricreduti e anche a Riad si sono resi conto che «l' Is è una minaccia alla sicurezza interna, perché ha eseguito attentati in territorio saudita contro moschee sciite e contro le forze di sicurezza. Ma come succede tutte le volte che si ha a che fare con l' Arabia Saudita, alcune ambiguità restano possibili. Inoltre la realtà sul terreno è complessa, ci sono gruppi che oggi combattono con l' Is, domani con al-Nusra o con altri. Quindi gli stessi finanziatori spesso non hanno certezza di dove finiscano i loro soldi». Per qualcuno non fa molta differenza. «Qui si va dal politico all' ideologico. Ci sono sondaggi non ufficiali secondo i quali un' ampia fascia della società saudita condivide l' ideologia quando non l' operato dell' Is. Questo è un problema che riguarda non solo l' Arabia Saudita, ma anche alcuni soggetti in Qatar, nel Kuwait, in Bahrain. Ma questo succede anche in Europa. Anche a Londra possono esserci tanti soggetti privati che finanziano gruppi in Siria» e, precisa poi a Libero, «anche in Italia, volendo». Si tratta prevalentemente di raccolte di danaro dalle comunità islamiche. Ma in Occidente, cedendo alle richieste dei sequestratori, in effetti si liberano gli ostaggi pagando riscatti da 11 milioni di euro, come nel caso di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Anche il governo italiano, a stretto rigore entra a buon diritto nella lista di Putin. Nella lista dei sospetti, gli Stati Uniti hanno inserito anche la maggior industria automobilistica giapponese e seconda al mondo, la Toyota. Il suo pick-up Hilux, era il preferito già da Osama bin Laden e nel corso del tempo è diventato trendy fra tutti i jihadisti. Tanto che quasi i due terzi degli automezzi dell' Isis - da quanto si vede nei cortei di camionette armate di mitragliatrici che sfilano in Libia e in Iraq - sono versioni di quel modello, che nel 2015 ha esordito con l' ultimo restyling. Dal Sol Levante, ovviamente, negano ogni coinvolgimento diretto o indiretto, spiegando che non soltanto la loro rete commerciale è al di sopra di ogni sospetto, ma che si evita anche ogni contatto con intermediari che potrebbero rivelarsi fornitori di organizzazioni criminali o terroristiche. E soprattutto, dal Califfato verso gli Stati vicini, affluisce il petrolio raffinato in Siria. La Turchia che pure fa parte della coalizione dei volonterosi, lo compra di contrabbando. Ma è dalle sue frontiere che passano i camion che lo trasportano. Un' ipotesi che Vidino, spiega così: «La vendita del petrolio è una delle fonti principali di finanziamento dell' Is, se non la principale. Le intelligence occidentali e non solo ritengono che sia fatta in Turchia e a soggetti legati al governo, perché non sono certo i privati che comprano il petrolio». Quindi Putin «in un certo senso, con Arabia Saudita e Turchia, qualche ragione ce l' ha». Del resto, continua l' esperto, «per lungo tempo Ankara ha accettato qualche forma di convivenza con l' Is, per motivi diversi da quelli dell' Arabia Saudita, come far fronte ai curdi nelle zone di confine. Ora, dopo i recenti attentati in Turchia, c' è stato un giro di vite ed effettivamente il confine turco non è più quel colabrodo che era fino a poco fa. Ma che la vendita del petrolio sia ancora in atto è conclamato. Non a caso la scorsa settimana un raid degli Stati Uniti ha preso di mira i pozzi di petrolio nel nord-est, per bloccare quella che è ancora un' importante fonte di finanziamento». Stesso discorso vale per la Giordania e la Libia: chi non è in grado di controllare i propri confini finisce per contribuire alla guerra santa di Daesh. Il riferimento di Putin, secondo Vidino, poteva riguardare anche la Turchia, che alcune intelligence occidentali accusano di finanziare l' Is comprando il suo petrolio su mercato nero. «La vendita del petrolio è una delle fonti principali di finanziamento dell' Is, se non la principale. Le intelligence occidentali e non solo ritengono che essa sia fatta in Turchia e a soggetti legati al governo, perché non sono certo i privati che comprano il petrolio». «Per lungo tempo Ankara ha accettato qualche forma di convivenza con l' Is, per motivi diversi da quelli dell' Arabia Saudita, come far fronte ai curdi nelle zone di confine. Ora, dopo i recenti attentati in Turchia, c' è stato un giro di vite ed effettivamente il confine turco non è più quel colabrodo che era fino a poco fa. Ma che la vendita del petrolio sia ancora in atto è acclamato. Non a caso la scorsa settimana un raid degli Stati Uniti ha preso di mira i pozzi di petrolio nel nord-est, per bloccare quella che è ancora un' importante fonte di finanziamento». Dal regime di Bashar Assad le accuse di finanziare il Califfato coinvolgono anche molti Paesi occidentali. «Ci sono dinamiche oscure -. commenta Vidino - È risaputo che alcuni Paesi occidentali abbiano finanziato gruppi ribelli sunniti e tra questi anche gruppi islamisti soft. Nel mare magnum dell' opposizione siriana, però, le dinamiche sono complesse e tra milizia e milizia possono esserci legami indiretti che rendono impossibile capire a chi arrivino gli aiuti». «Ci sono - conclude - alleanze che cambiano di continuo, ci sono gruppi sconfitti dall' Is, che si impossessa di quanto essi hanno ricevuto dall' Occidente, ci sono infine mediatori, soprattutto nel Golfo, che affermano di aver consegnato gli aiuti a un gruppo e poi li hanno invece dati ad altri». di Andrea Morigi

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