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Ecofin, vogliono far pagare a noi il crac delle banche

La Ue spinge perché, in caso di dissesto, oltre agli azionisti anche i correntisti ripianino le perdite. E l'Italia si piega

Giulio Bucchi
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«Il principio di proporzionalità verrà opportunamente graduato». Sono appese qui, a questa vaga promessa del governo, le speranze dei risparmiatori italiani di non vedersi sfilare i soldi di tasca per salvare le banche dal fallimento. Il rischio è concreto e imminente.  La proposta di direttiva della Commissione europea per la gestione e la risoluzione delle crisi bancarie (adottata nel giugno 2012) è oggi sul tavolo dell'Ecofin che si tiene a Lussemburgo. L'obiettivo è quello di definire regole comuni a livello europeo per stabilire chi dovrà sopportare il costo del salvataggio di un istituto di credito che finisce in bancarotta.  Per sostenere le banche in difficoltà Bruxelles sta studiando una serie di misure strutturali che prevedono l'intervento del Fondo salva stati o, nell'ambito della futura unione bancaria, di uno specifico fondo europeo alimentato dallo stesso sistema creditizio. Tutti, però, sembrano d'accordo sul principio che ad accollarsi le perdite, in via preliminare, siano, oltre agli azionisti, anche i creditori. Come è successo a Cipro. Ed è qui che scatta la trappola. Il meccanismo su cui si concentrano le attenzioni, e i dissensi, degli Stati membri è il cosiddetto bail-in, ovvero la conversione forzosa o la decurtazione dei crediti per assorbire le perdite. Il problema principale riguarda la ripartizione degli oneri e i confini della stessa. Appare infatti evidente che il crac di una banca non può pesare nella stessa misura sul portafoglio di un grande investitore e sul conto di un piccolo risparmiatore. La gerarchia dei “pagatori” a cui sta lavorando Bruxelles prevede che subito dopo gli azionisti  ci siano i creditori non assicurati, i detentori di obbligazioni a lungo termine, quelli di bond a breve scadenza e, infine, i correntisti. Quest'ultimi verrebbero coinvolti direttamente per depositi sopra i 100mila euro e attraverso il fondo di garanzia interbancario (che dal 2009 tutela obbligatoriamente in tutta Europa le somme sotto tale soglia) per quelli inferiori. La definizione della scala gerarchica e delle relative quote di decurtazione del credito, come è chiaro, potrebbe avere effetti devastanti sul costo della raccolta, sui flussi di finanziamento alle imprese e, banalmente, sulle tasche di un risparmiatore punito per avere scelto di mettere i suoi denari nella banca sotto casa invece che in quella due isolati più in là. Non tutti, fortunatamente, la pensano alla stessa maniera. La Germania, manco a dirlo, vorrebbe che l'asticella delle garanzie anche per i piccoli creditori fosse posta più in basso possibile. La Francia, al contrario, preferirebbe che tutti i depositi, anche quelli sopra i 100mila euro, fossero esclusi dall'eventuale bail-in. Una posizione tutt'altro che avventata, considerato che coincide con quella formulata dalla Bce lo scorso novembre in un parere formale sulla direttiva Ue. Secondo l'istituto guidato da Mario Draghi, infatti, come si legge nel documento, «la base dei depositanti degli enti creditizi è una fonte di finanziamento che dovrebbe essere rafforzata» e non indebolita facendo scappare i correntisti. Per lo stesso motivo la Banca centrale europea ritiene opportuno accordare ai crediti assorbiti dal fondo di garanzia (che si farebbe carico delle perdite in capo ai correntisti sotto i 100mila euro) una natura privilegiata. Misura, scrive la Bce, che è già stata adottata dagli ordinamenti nazionali di Bulgaria, Grecia, Lettonia, Ungheria, Portogallo e Romania allo scopo di «garantire che sia sempre disponibile un finanziamento sufficiente» per il fondo interbancario. E l'Italia? La posizione ufficiale dell'esecutivo è stata espressa recentemente in occasione di alcune interrogazioni parlamentari presentate da esponenti del Pdl e del M5S. In linea di massima, spiega il sottosegretario all'Economia, Alberto Giorgetti, «il governo si è espresso favorevolmente nei confronti di un sistema armonizzato al bail-in in ambito europeo» che riduca le incertezze. Ma l'Italia «farà comunque valere le proprie ragioni». Nel dettaglio il governo spiega che «la direttiva prevede che nell'attivazione dello strumento debba applicarsi il principio di proporzionalità». Ebbene, l'impegno di Palazzo Chigi è che «tale principio verrà opportunamente graduato nel recepimento della direttiva nell'ordinamento nazionale». Cosa significhi concretamente nessuno lo sa. Sembra, però, di capire che in sede europea il governo ingoierà la pillola, provvedendo poi a distribuire qualche zuccherino in Patria. Una bozza di proposta italiana circolata qualche settimana fa prevedeva un taglio dei crediti del 100% per azionisti e obbligazionisti a lungo termine per poi scendere fino al 10,5% per i correntisti. Una soluzione dal sapore tedesco, sconfessata persino dallo stesso Draghi, che del bail-in è stato ed è uno dei principali sostenitori. di Sandro Iacometti twitter@sandroiacometti  

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