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Sergio Marchionne, John Elkann resta solo a guidare l'impero: un futuro incerto

Cristina Agostini
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«Si tratta di una situazione impensabile fino a poche ore fa, che lascia a tutti quanti un senso di ingiustizia. Il mio primo pensiero va a Sergio ed alla sua famiglia». Non è la prima volta che il destino scarica sulle spalle di John Philip Elkann un peso tanto gravoso quanto improvviso. È successo nel 1997 quando, a soli 21 anni, fu promosso ad erede ufficiale dell' impero dal nonno Giovanni Agnelli dopo la scomparsa prematura del cugino Giovanni Alberto. Ancor più drammatici quei giorni del giugno del 2004 quando, scomparso lo zio Umberto, il nipote dell' Avvocato si ritrovò, meno che trentenne, alla testa di uno dei più importanti gruppi europei. Leggi anche: Dopo Marchionne la faida degli Agnelli: retroscena. Ferrari, soldi e poltrone, Elkann pugnala Andrea Quasi da solo perché, per sua fortuna, a Torino era sbarcato in quei giorni Sergio Marchionne, allora manager presso la svizzera Sgs, sconosciuto agli addetti ai lavori, ma da tempo investito da Umberto del compito di far da guida nel mondo degli affari a lui e al cugino Andrea, all' epoca a far pratica in Philip Morris (azienda allora guidata da Louis Carey Camilleri). «Quel che mi ha colpito di Sergio fin dall' inizio - ha voluto ricordare Elkann - quando ci incontrammo per parlare della possibilità che lui venisse a lavorare per il gruppo, più ancora delle sue capacità manageriali e di una intelligenza fuori dal comune, furono le sue qualità umane, la sua generosità e il suo modo di capire le persone». E fu l' inizio di un rapporto solido sul piano professionale e umano. «Negli ultimi 14 anni, abbiamo vissuto insieme successi e difficoltà, crisi interne ed esterne, ma anche momenti unici e irripetibili, sia dal punto di vista personale che professionale». Insomma «un mentore e soprattutto un amico che ci ha insegnato a pensare diversamente e ad avere il coraggio di cambiare, spesso anche in modo non convenzionale». Ovvero quello che dovrà fare John Elkann. A 42 anni, il presidente di Exor dovrà gestire il passaggio da solo. Al suo fianco non opera più Gianluigi Gabetti, che compirà 94 anni ad agosto. E probabilmente non ci sarà più nemmeno super Sergio, forte di una personalità così dirompente da oscurare sia i collaboratori che il suo principale azionista. Eppure in questi anni l' ingegner Elkann ha costruito con pazienza una macchina da guerra, lontano (ma non estraneo) dai giochi del potere in Italia ma assai più attratto dal grande business planetario. Ama i giornali, come il nonno Giovanni, ma ha ceduto volentieri la gestione della Stampa (non senza ricevere in cambio una quota di Repubblica) per concentrarsi sull' Economist in attesa di costruire un' alleanza europea, magari assieme all' amico Xavier Niel (uno dei padroni di Le Monde). O con lo stesso Jeff Bezos, con cui si è incontrato in settimana a Sun Valley. La strategia consiste nel cedere all' apparenza «qualcosa» in cambio di qualcosa di più grande. E non è escluso che la stessa strategia possa esser estesa alle quattro ruote: Exor non intende vendere ma è pronta a trattare alleanze. Ma di questo si parlerà più avanti. Oggi la cosa più importante è garantire la continuità. Facile, in un certo senso, farlo in Ferrari, la "perla" che Marchionne avrebbe voluto guidare ma che è già stata affidata a un manager d' eccezione: Louis Carey Camilleri, amico di lunga data di Marchionne, maltese d' origine egiziana, cultura british, straordinaria carriera in Philip Morris (sponsor storico del Cavallino) con un patrimonio di 150 milioni di sterline, tre figli e un flirt con Naomi Campbell nato nei paddock della Formula 1. Scontata la scelta di Mike Manley, che dal 2009 ha guidato sotto Marchionne il boom di Jeep, il marchio più appetibile di Fca assieme a Ram, che sotto la guida del manager inglese ha moltiplicato per quattro le vendite. Sarà lui, probabilmente, a guidare il decollo del polo del lusso (Alfa più Maserati) o lo stesso spin-off di Jeep, che da sola potrebbe valere 30 miliardi, tanto quanto l' intera Fca. Un progetto molto alla Marchionne, uno che, per dirla con Elkann, «ha sempre fatto la differenza, quella che continua a fare la cultura introdotta in tutte le aziende che ha gestito e che oggi ne è diventata parte integrante». La transizione, preparata da tempo (con l' eccezione di Ferrari), consentirà la massima continuità. Ma questi sono i giorni del dolore, un sentimento che serve a crescere. di Ugo Bertone

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