L'Inps di Tito Boeri sbaglia i calcoli: un assegno su quattro è sballato, scattano i rimborsi
L'Inps sbaglia i conti e si tiene ogni mese centinaia di euro che dovrebbe invece versare ai suoi iscritti. Se ne accorgono due trevigiani che prima protestano (inascoltati) con i funzionari locali, e poi fanno causa e dodici anni dopo ottengono, finalmente, il dovuto risarcimento. Non pochi spiccioli: ma ben 81mila euro, frutto di di carte bollate, ricorsi e ingiunzioni. Ora i due ex lavoratori dovranno ricevere 50mila euro il primo e altri 31 mila euro il suo collega. I due determinati pensionati di Treviso hanno iniziato la battaglia contro l'Inps nel 2005. Nei giorni scorsi la sentenza che dal tribunale veneto potrebbe innescare una valanga di ricorsi in tutta Italia. Il caso trevigiano non è infatti isolato. I due pensionati - a cui l'Inps versa regolarmente trattamenti pensionistici secondo il sistema retributivo - quando ancora lavoravano erano stati posti in mobilità, un ammortizzatore sociale per le aziende in crisi simile alla cassintegrazione. Solitamente un assegno inferiore ai mille euro al mese. Poi i dipendenti dell'azienda delle Tlc avevano fatto domanda di pensionamento. Ma l'Inps aveva conteggiato l'assegno pensionistico non sulla base delle retribuzioni degli ultimi anni, ma sull'assegno di mobilità dell'ultimo anno di lavoro. E ai due era stata assegnata una pensione ben più bassa: dai 400 ai 250 euro in meno al mese. LO SCIPPO DAL 2005 I due trevigiani si erano accorti di averci rimesso un capitale. Inutile provare a convincere i funzionari locali dell'evidente svista. E così hanno fatto causa all'Istituto guidato da Boeri. La sentenzadel giudice del Lavoro di Treviso «ha dei risvolti importanti», spiega soddisfatto l'avvocato Marco Portantiolo intervistato da Il Gazzettino, «perché, a quanto ci risulta, quello dei nostri assistiti non è affatto un caso isolato». Già a inizio gennaio, ma in Sicilia, quattro pensionati avevano constatato un ammanco simile. Stessa trafila e identica sentenza: i calcoli dell'Inps erano sbagliati e l'ente pensionistico venne condannato a risarcire agli operai metalmeccanici palermitani (sempre del settore Tlc, sempre con un periodo in mobilità alle spalle), la differenza non percepita: 37.600 euro in totale. La certezza ormai è che non si tratti di casi isolati. L'avvocato Paolo Palma, presidente dell'Adap, (Associazione avvocati previdenzialisti), suggerisce, a chi vuole fare ricorso, di non far passare troppo tempo. «Chi vuole opporsi ha tre anni e 300 giorni di tempo, da quando ha ricevuto il provvedimento di liquidazione della pensione. Ed è possibile recarsi al patronato per le verifiche», suggerisce. Nel giugno scorso l'Inca Cgil della Toscana aveva stimato che almeno una pensione su quattro contenesse degli errori di calcolo. Colpa dell'Inps. Ma anche di un sistema di regole, norme e conteggi impossibile da digerire per un essere umano. E tanto per aggiungere confusione al caos previdenziale anni addietro l'Inps - per risparmiare qualche milione tra carta e spese di spedizione - aveva deciso di “dematerializzare” il cedolino pensionistico (modello ObisM), che un tempo veniva inviato al domicilio. Leggi anche: Sugli esodati l'altro disastro di Tito Boeri CEDOLINO FANTASMA Da allora per controllare cosa e quanto paga l'Istituto bisogna rivolgersi ad un Centro di assistenza fiscale oppure possedere Pin e password per accedere alla propria posizione. Ma su 18 milioni di pensionati solo pochi quelli pignoli e scrupolosi lo fanno. Ancora meno quelli che riescono ad orientarsi. Ovviamente si può chiedere all'Inps un controllo (“ricostruzione”), però nel caso di incongruenze a favore dell'Istituto non è escluso che venga richiesto il rimborso «in comode rate». Se si vuole dare un'occhiata alla situazione si può chiedere l'aiuto dei Caf che svolgono questo servizio ai cittadini gratuitamente (lo Stato paga un contributo per ogni pratica svolta). E magari, se il conteggio risultasse sbagliato, si potrà decidere se trascinare l'Inps in tribunale o meno. L'Inps rappresenta il più importante “datore di reddito” italiano: oltre 18 milioni di “clienti” e un flusso di uscite per 267 miliardi. Al singolo pensionato - che ha versato contributi per una vita, fidandosi - forse farebbe più piacere ascoltare meno chiacchiere e polemiche e ricevere la giusta pensione. di Antonio Castro