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Def, Paolo Savona sostituisce Giovanni Tria: "Vi spiego la manovra, stabilità politica e di bilancio"

Giulio Bucchi
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Il ministro dell'Economia, per ora, è ancora Giovanni Tria. Ma ma la manovra la spiega il collega Paolo Savona. Nel silenzio del dopo-Def e nei retroscena che si sprecano c'è abbastanza per leggere nell'intervento del titolare degli Affari Ue sul Fatto quotidiano una sorta di passaggio di consegne. D'altronde, più d'uno indica proprio in Savona il "ministro-ombra" di via XX Settembre, e mentre le difficoltà evidenti di Tria nel seguire la linea imposta da Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono evidenti, la sicurezza con cui l'economista 72enne difende la futura manovra gialloverde non può essere un caso. Ed è anche una risposta alle preoccupazioni sui conti espresse dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che si oppose proprio a Savona ministro dell'Economia rischiando di far saltare il governo gialloverde). Leggi anche: "Adesso sarà guerra all'Europa". Savona, la voce che fa tremare Savona parte sottolineando la coerenza tra il Def "con il contratto di governo e con la risoluzione parlamentare approvata il 19 giugno scorso". Quello che spaventa Tria, il deficit al 2,4%, lascia sostanzialmente indifferente il collega. Innanzitutto, perché Lega e M5s hanno dovuto fare i conti con lo "scherzetto" del governo Gentiloni, un "deficit tendenziale stimato in 1,24%, ossia abbondantemente al di sopra di quello concordato con la Commissione (lo 0,8%, ndr)". Secondo punto: "Il governo ha ereditato 5 milioni di poveri i cui bisogni di sopravvivenza sono impellenti già da ieri; tra questi vi sono parte del 10 per cento dei lavoratori disoccupati, di cui un numero socialmente inaccettabile di giovani". Ecco spiegato, secondo Savona, perché era fondamentale inserire "il reddito e la pensione di cittadinanza, nonché il pensionamento anticipato", tutte misure ovviamente a debito per le casse dello Stato. La preoccupazione sul deficit è secondaria, perché la vera emergenza, sottolinea Savona, è rianimare il Pil, che nel 2018 dovrebbe crescere dell'1,5% e nel 2019 appena dell'1%. "Se non si vuole un peggioramento dell'economia e un aumento delle condizioni di povertà e di disoccupazione occorre attivare nuovi interventi di politica fiscale". Quindi "massicci investimenti" ("È ragionevole pensare che nel solo 2019 si possa raggiungere un aumento degli investimenti nell'ordine di almeno l' 1 per cento di Pil, di cui la metà su iniziativa dei grossi centri produttivi di diritto privato dove lo Stato ha importanti partecipazioni"), che potrebbero contribuire a far salire la crescita di circa il 2% per il 2019 e avvicinarci alla soglia minima del 3% che stabilizzerebbe il Paese e cancellerebbe il "contro" del deficit. Siamo sempre, però, nell'orbita delle scommesse "renziane". Perché se una gamba del rilancio è la condizione che i soldi dati a disoccupati e nuovi pensionati vengano pompati nella ripresa, il tavolino rischia di cadere molto presto. Ma Savona è ottimista: "Sono certo che il mercato valuterà in positivo le scelte fatte riconoscendo al governo il beneficio della razionalità che alimenta la speranza del mantenimento di una stabilità politica non meno preziosa della stabilità di bilancio". Confermando, in sostanza, che senza l'accordo su questo Def sarebbe saltato il governo, con conseguenze devastanti anche a livello finanziario.

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