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Alitalia, i russi di Aeroflotpronti a salvare la compagnia

Alberghi di lusso pagati per tutti i dipendenti. Uffici faraonici a Roma a Londra e a Hong Kong. Ma anche in Africa e in India. Ecco tutte le spese pazze della compagnia

Ignazio Stagno
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Dopo il "no" di Air France all'aumento di capitale per Alitalia, per salvare la nostra compagnia di bandiera, spunta l'ipotesi Aeroflot, la compagnia russa. Una delegazione di Alitalia volerà a Mosca, la prossima settimana, per colloqui esplorativi con Aeroflot, a caccia di un “partner internazionale forte”, dopo il dietrofront di Air France-Klm a partecipare all'aumento di capitale. La compagnia russa sta studiando le carte e conosce bene il dossier italiano. Pur avendo escluso l'esistenza di trattative per un acquisto di quote azionarie, Aeroflot non ha smentito il suo possibile interesse a una partnership industriale con Alitalia. Interesse che rischia di scemare a causa della contrarietà dei vertici dell'ex compagnia di bandiera ad accettare le dure condizioni poste dal gruppo franco-olandese. L'asse Air France- Klm - Il 31 ottobre Air France-Klm, che detiene il 25% di Alitalia, ha svalutato completamente il valore della sua quota. E l'ad e direttore generale De Juniac ha chiarito, senza mezzi termini, che “serve un piano di ristrutturazione molto forte”, una riduzione del medio raggio e una stabilizzazione del lungo raggio. Inoltre, Air France-Klm chiede una revisione dell'applicazione degli ammortizzatori sociali e un rafforzamento della solvibilità: “O le nostre condizioni vengono rispettate e ci sarà un rafforzamento della partnership con Alitalia – ha sottolineato il manager – altrimenti la risposta di Air France sarà negativa”. Insomma gli investitori vogliono garanzie. Nuovi investitori - Così Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture lancia un appello: “Se Air France dovesse decidere di non sottoscrivere l'aumento di capitale in Alitalia è  evidente che un partner internazionale forte va trovato”. La decisione definitiva del gruppo franco-olandese- che rimane, comunque, il partner industriale più plausibile al momento per il salvataggio di Alitalia – non dovrebbe arrivare prima di metà novembre, quando scadrà il periodo di 30 giorni previsto per la sottoscrizione dell'aumento di capitale anche se rimarra' poi un ulteriore periodo per sottoscrivere la quota di capitale inoptato. Ma le cause della situazione disastrosa di Alitalia vanno cercate nel tempo e nella mala gestione degli ultimi anni. Sedi faraoniche - A gravare sui conti della compagnia ci sono le faraoniche sedi sparpagliate per Roma. Come ricorda Sergio Rizzo sul Corriere della Sera il commissario Augusto Fantozzi ebbe un ufficio nella gigantesca sede della Magliana, a venti chilometri da Fiumicino, che sarebbe stata troppo grande anche per la General Motors.Costo? 250 miliardi di lire dopo aver venduto per 90 il palazzo dell'Eur. Una rimessa secca di 160 miliardi. Ma non finisce qui. Fantozzi scoprì che c'erano 60 (sessanta) sedi all'estero. Rimaste aperte per anni, nonostante gli scali coperti dalla compagnia italiana si fossero negli anni miseramente ridotti a una quindicina. Non parliamo di quella londinese di Heathrow, arrivata a stipendiare trecento persone. Ma per esempio di un ufficio in Libia. O in Senegal. O delle due sedi indiane, Mumbai e Delhi. Oppure degli uffici di Hong Kong. Insomma il personale della compagnia era sparso in giro per il mondo. E chi viaggiava di sede in sede ovviamente alloggiava in lussoisi hotel. Del resto, davanti ai conti degli alberghi l'Alitalia non ha mai fatto una piega. Come quando pagò per un anno intero seicento stanze negli hotel intorno a Malpensa destinate agli equipaggi che avrebbero dovuto fare base nello scalo varesino. Insomma è in questi conti e in questi sprechi che vanno cercate le cause della fine ingloriosa di Alitalia. Una fine annunciata da tempo che ora sta per diventare un'amara realtà. 

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