Le paure degli italiani
Milano, 25 feb. (AdnKronos) - Gli italiani sono un popolo un po' meno spaventato rispetto a sette anni fa, quando la crisi economica aveva fatto toccare al senso di insicurezza il suo picco massimo di intensità, ma continuano a essere impauriti da molteplici timori. L'insicurezza globale, dall'inquinamento alle guerre, preoccupa tre persone su quattro e rappresenta la principale paura (75%). A seguire, arriva l'incertezza economica, che inquieta ben oltre la metà dei cittadini (62%): gli italiani hanno soprattutto paura di perdere la pensione o di non riceverla mai (37%), di non avere abbastanza soldi per vivere (36%) e di perdere il lavoro (34%). Sono queste alcune delle principali evidenze che emergono dall'undicesimo Rapporto dell'Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, realizzato da Demos&Pi e Fondazione Unipolis per indagare il tema della percezione sociale della sicurezza. L'incertezza economica colpisce soprattutto le fasce di età intermedia, ovvero dai 25 ai 54 anni di età. Il loro livello di preoccupazione si attesta intorno al 70% (contro il 62% della media). Se si prende in considerazione il profilo professionale, il sentimento di preoccupazione tocca i massimi livelli tra gli operai e le casalinghe (81%), oltre ai disoccupati (76%). Le donne sono generalmente le più timorose, insieme alle persone sole. Molti più italiani si sentono parte del ceto medio rispetto al 2014: la percentuale non è certo tornata ai valori pre-crisi (60%), ma nel 2019 ha recuperato al 50% dopo il 44% di cinque anni fa. La terza grande area di insicurezza è quella della criminalità, soprattutto organizzata, che preoccupa quasi quattro persone su dieci. L'insicurezza assoluta (26%), che somma le tre principali insicurezze (globale, economica e legata alla criminalità), si attenua di tre punti rispetto al 2017. Per il rapporto, è una contrazione lieve, ma significativa perché "va a confermare un trend già emerso negli anni precedenti e oggi fa registrare il valore più basso dopo il picco del 2012". Si assiste a una sorta di "normalizzazione emotiva", perché "l'incertezza è certamente profonda, diffusa presso la popolazione di tutti i Paesi. In misura chiaramente diversa. Ma ha raggiunto, ormai, misure e caratteri noti".