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Alberto Bombassei a Pietro Senaldi: "Il governo è fuori strada. Crisi dura se va avanti così"

Giulio Bucchi
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L' economia è un rebus. Sabato Libero ha titolato «I bidoni di Conte: tante promesse, zero fatti» per fotografare lo stato dell' arte del Paese e del governo del cambiamento, se in peggio o in meglio è ancora da vedere. Si rincorrono voci di un supplemento di manovra tutta tasse, categoricamente smentita dai vicepremier Salvini e Di Maio ma solo temporaneamente negata dal ministro dell' Economia, Tria. L' agenzia di rating Fitch venerdì scorso non ha declassato i titoli di Stato dell' Italia, lasciandoci un gradino sopra la spazzatura ma ha annunciato vita breve per l' esecutivo, una previsione che molti hanno letto come un sollecito, se non proprio un ricatto in vista del prossimo verdetto sulla nostra affidabilità sui mercati come pagatori. La situazione è sospesa, dalla Tav all' autonomia, tutto è fermo in attesa del voto europeo di fine maggio, quando presumibilmente saranno ridisegnati gli equilibri politici, in Italia ma anche in tutta l' Unione. Intanto il resto del mondo avanza. Possiamo permetterci di aspettare così tanto? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Bombassei, 78 anni, bergamasco, uno dei più importanti industriali italiani, presidente di Brembo, l' azienda metalmeccanica leader mondiale dei freni, ex parlamentare montiano e attuale presidente della Fondazione Italia Cina. Presidente, siamo alla vigilia di un' altra recessione?  «I segnali vanno tutti in quella direzione. È una tendenza mondiale che non ha certo origine in Italia, noi però stiamo facendo ogni sforzo per pagare un prezzo più alto di ogni altro Paese europeo». Le ragioni del rallentamento?  «L' economia è ciclica, e questa fase negativa non deve stupirci troppo, dopo qualche anno di crescita mondiale. Il problema è che qui in Italia non abbiamo approfittato della fase positiva e non ci siamo preparati al periodo difficile con scelte politiche lungimiranti. Abbiamo scherzato troppo con il debito e non abbiamo tagliato le spese. In più, abbiamo investito poco in innovazione e ricerca. È una critica che muovo soprattutto a questo governo ma anche a quelli precedenti. A complicare le cose poi c' è la guerra tra Usa e Cina per la leadership economica mondiale, con l' Europa, piuttosto imbelle, a fare da spettatrice e vittima sacrificale». L' Europa paga la crisi della Germania?  «Il 75% del famigerato surplus commerciale dei tedeschi matura con scambi fuori dalla Ue. È normale che Berlino ora paghi pegno: è vittima del fuoco incrociato tra il nuovo protezionismo americano e il rallentamento della crescita cinese. Ma non è il caso di gioire, se la Germania si ferma per l' Europa è un disastro. L' economia europea si è sviluppata intorno alla Germania e se loro vanno ko, al tappeto ci finiamo tutti». Come vede la situazione italiana in particolare?  «Sono un imprenditore e, per ovvie ragioni, non ho una visione ideologica della politica. Le dico però che senza un cambiamento di rotta tempestivo e marcato, soffriremo più di tutti nell' Unione. Se guardo l' ultima finanziaria, fatico a dare un giudizio positivo, sia sul quadro complessivo che sui singoli provvedimenti. Si è puntato tutto sul sociale e si è trascurato il mondo imprenditoriale, dimenticando che è quello a creare ricchezza e lavoro». Il reddito di cittadinanza la convince?  «Ridurre la povertà è indispensabile e dev' essere il primo obiettivo, morale e materiale, dell' azione politica. Però non condivido la logica del provvedimento e sono perplesso sulla possibilità di rendere efficiente e controllata l' erogazione del contributo. Il meccanismo è troppo complesso e noi siamo il Paese dei furbi. Spero di sbagliarmi ma temo che il reddito di cittadinanza si rivelerà impossibile da gestire». In teoria dovrebbe aiutare i disoccupati a trovare lavoro «Mi pare un obiettivo illusorio.Nella mia vita ho assunto migliaia di persone ma non sono mai passato da un centro per l' impiego. L' unica via per stimolare le assunzioni è detassarle. Il precedente esecutivo ci aveva provato ma in Italia nessuno, una volta arrivato al potere, ha il coraggio di affermare che chi ha governato prima non ha fatto soltanto errori. Siamo specialisti nel buttare il bambino con l' acqua sporca». Cosa ne pensa della riforma delle pensioni e di quota 100?  «Io non l' avrei fatta. È falso che chi va in pensione viene subito sostituito da un nuovo assunto giovane; non è mai andata così, e tantomeno il teorema può funzionare quando si è in recessione. Non far morire la gente sul posto di lavoro è una buona cosa, ma non darà i risultati sperati in termine d' occupazione; se non, forse, nel pubblico impiego, ma quelli sono soldi che escono dallo Stato, non che entrano». E il decreto dignità, le piace?  «Può aver sanato delle storture, perché alcuni imprenditori esageravano con i contratti a termine e sfruttavano i giovani in modo non corretto. Però di fatto ha fermato il mercato del lavoro. Le assunzioni si stimolano con investimenti, defiscalizzazioni, formazione scolastica e promozione dell' industria 4.0, non con i paletti legislativi». Come si trova lavoro in Italia?  «Oggi la necessità di competenze specifiche è molto forte. Alcuni Paesi hanno capito in quale direzione si muove il mercato del lavoro e hanno posto in essere investimenti corposi sul tema educazione e innovazione. Faccio sempre l' esempio degli istituti tecnici superiori: in Italia contano una media di 10mila iscritti, in Germania la cifra lievita a 800mila. Eppure le percentuali di occupati già dal primo anno dopo il diploma sono altissime: oltre l' 80 per cento! Se già oggi Confindustria ritiene che nei prossimi anni, su 200mila maestranze richieste nei settori trainanti del made in Italy (dal tessile, alla chimica, al manifatturiero in generale), una su tre resterà vuota per mancanza di competenze, dobbiamo porci il problema della formazione come centrale per il lavoro». Cosa deve fare il governo per limitare i danni della recessione?  «Sarei più tranquillo se questo governo avesse un piano B e un dossier per le imprese. Francia e Germania ce l' hanno. Le misure previste dalla nostra manovra non sono incisive. Non è vero che l' economia deve seguire la politica; anzi, dovrebbe essere proprio l' opposto. Gli investimenti nel sociale andrebbero fatti in opere pubbliche, non in sussidi. Sta passando una cultura sbagliata: oggi c' è chi chiama gli imprenditori "prenditori", c' è troppa gente che non riesce ad accettare che dietro il benessere altrui c' è molto lavoro, molto studio, molto sacrificio. Io credo che manchi questa consapevolezza in molte persone, non soltanto nei giovani, che anzi, in questi tempi così incerti, sono capaci di grandi slanci». Lei parla di investire, ma è tutto fermo «Temo che fino alle Europee non si muoverà uno spillo. D' altronde, la paralisi economica segue quella politica. Per investire ci vuole certezza nel futuro ma al momento tutto sembra sospeso, come se dopo il voto di maggio potesse esserci una rivoluzione. Come faccio ad assumere, e per di più con l' obbligatorietà del tempo indeterminato sancita dal decreto dignità, se non ho sicurezze sul futuro? Prima deve chiarirsi la situazione, in Italia ma anche in Europa». Cosa si aspetta dal voto delle Europee?  «Nella Ue c' è una totale mancanza di leadership. La Merkel ha fatto il suo tempo, Macron ha troppi problemi e non è neppure padrone a casa sua. In Italia Salvini è l' uomo forte, ma per diventare leader in Europa devi avere una visione comunitaria, non puoi solo litigare». Mi dica almeno cosa si augura?  «Che dal voto esca un' Europa più forte ma anche meno germanocentrica. L' Unione ha spesso assecondato le esigenze di Berlino. È è stato un errore ma mi sembra che finalmente i tedeschi lo stiano capendo: la crescita europea dev' essere equilibrata sennò è un problema per tutti, anche per i più forti. Mi ha stupito la dichiarazione di Juncker sugli errori compiuti dalla Ue nella crisi greca. L' ho trovata clamorosa: o è solo campagna elettorale, oppure significa che a Bruxelles si sta prendendo coscienza degli errori e sta crescendo una visione comunitaria e solidale, non di concorrenza tra Stati, e tantomeno punitiva». Da dove si può partire?  «Un' unione fiscale sarebbe un passo decisivo. Oggi gli Stati Ue si rubano aziende e persone facendosi concorrenza sulle tasse. Andare avanti così è incompatibile con il concetto di Unione Europea. Si può fare, ma è un rischio, tutti i nostri Stati sono dei nani di fronte a Cina e Usa: se l' Europa non accelera sull' integrazione alle singole nazioni resterà solo la scelta se stare sotto Washington o sotto Pechino». L' Europa sta sbagliando anche sull' auto?  «Anche in questo caso fa il gioco dei cinesi e degli americani. L' industria europea è incardinata su quella tedesca, la quale è basata sull' auto e in particolare sulla tecnologia dei motori diesel. Però la Ue non ha fatto nulla per difendere questa teconologia e anzi promuove l' auto elettrica, dove la Cina è molto più avanti di noi. Non solo Pechino ha allargato la propria influenza sui Paesi del Terzo Mondo dove si trovano le materie prime per le batterie, ma sta anche investendo cifre gigantesche sulle infrastrutture e le tecnologie per la mobilità elettrica. Stiamo rischando di perdere un' industria fondamentale per l' economia europea: è la dimostrazione che siamo un nano politico». C' è però una giustificazione ambientale nel promuovere l' auto elettrica «C' è un fanatismo verde che non considera la realtà. Potremmo parlare di populismo ambientalista, che ha contagiato i politici europei, i quali si sono innamorati di un' idea, incuranti delle sue conseguenze e inconsapevoli delle regole del funzionamento attuale del modello produttivo europeo. Se oggi smettessimo di produrre auto a gasolio o benzina per fare solo veicoli elettrici, perderemmo un milione di posti di lavoro in Europa. E poi i moderni motori diesel sono meno inquinanti di un' auto ibrida e anche di una elettrica che utlizza energia di centrali a carbone. L' Europa in media ricava ancora dal carbone il 33% dell' energia elettrica. E nessuno poi parla della fiscalità? Ho letto che l' analisi costi-benefici della Tav sconta la riduzione delle tasse sui carburanti. E allora l' auto elettrica? Non produrrebbe un buco gigantesco nei ricavi del fisco?». L' elettrico però è il futuro: cosa suggerisce?  «Di non farsi prendere dall' ossessione e agire gradualmente. Mettere vincoli al diesel oggi, che il mercato europeo non è ancora pronto per la trasformazione in verde, significa distruggere un pezzo fondamentale dell' economia del Continente». di Pietro Senaldi

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